reader.chapter — Valle di Cenere
Alina
Oltre le rive del Lago delle Ombre, il mondo sembra spezzarsi in un silenzio che preme contro il petto. La nebbia violacea, densa come un respiro maligno, si dirada appena, rivelando un ingresso che non invita ma condanna: la Valle delle Lacrime. Ogni passo che ci lasciamo alle spalle il lago ribollente mi fa sentire come se stessi abbandonando una parte di me, un frammento che il Divoratore ha già reclamato. Il ronzio del varco, un urlo che mi perfora la mente, non si placa; è un’eco che mi segue, un’ombra che si aggrappa alla mia pelle. Stringo il Sigillo di Umbra nel palmo destro, il dolore che brucia come un ferro rovente, una luce argentea malata che pulsa e mi guida verso qualcosa che so di non voler trovare.
La valle si staglia davanti a noi come un incubo scolpito nella pietra. Canyon di roccia nera si ergono ripidi, le pareti sembrano sanguinare un liquido viola che sfrigola al contatto con il terreno, lasciando cicatrici di corrosione. Il cielo sopra di noi è un manto di nubi tempestose, squarciato da lampi indaco che illuminano, per un istante, rovine di templi antichi in lontananza, scheletri di un passato che trasuda dolore. L’aria è così densa di zolfo e disperazione che ogni respiro mi pizzica i polmoni, un veleno che si insinua dentro di me. Il terreno sotto i piedi è instabile, screpolato, e ogni passo scuote qualcosa di profondo, un senso di condanna che mi stringe il cuore. Non c’è vita qui, solo un vento gelido che sibila tra le rocce, portando con sé lamenti antichi che mi fanno rabbrividire.
Non riesco a guardare Kael, non ora. Lo sento dietro di me, trasportato su una barella improvvisata da Luna e Rivo, il suo respiro rantolante un coltello che mi trafigge a ogni rantolo. La sua pelle è cinerea, lo so senza dover voltarmi; le bende sono intrise di sangue fresco, e i tatuaggi runici sulle sue braccia sono appena un’ombra sotto il fango e la sporcizia. Se lo guardassi, crollerei. Mi aggrappo al ricordo del nostro bacio disperato sulle rive del lago, le sue labbra sulle mie, un’ancora di calore in un mare di gelo. “Non ti lascio,” sussurro, più a me stessa che a lui, la voce spezzata dalla stanchezza, un filo che minaccia di rompersi come il mio corpo. Sono un groviglio di fango, cenere e sangue incrostato, i capelli castani che mi cadono sul viso come una cortina, gli occhi verdi incavati da occhiaie che sembrano voragini. Ogni muscolo trema per la malnutrizione, la postura curva sotto un peso che non è solo fisico. Eppure, non posso fermarmi. Non finché lui è con me.
Luna zoppica poco avanti, il pelo incrostato di sangue, una ferita al fianco che rende ogni suo movimento un’agonia. Nonostante il dolore, la sua fierezza non vacilla; i suoi occhi azzurri scrutano le ombre della valle, un ringhio basso che rimbomba nel petto mentre protegge i cuccioli del branco che si stringono a lei. Rivo, al suo fianco, è teso, le orecchie basse, pronto a scattare al minimo rumore. Giulia inciampa sul terreno instabile, le mani tremanti che stringono il manoscritto logoro come se fosse l’unica cosa a tenerla in piedi. I suoi occhi marroni, segnati da lacrime e notti insonni, sono fissi sulle pagine, mentre mormora frammenti di testo antico, la voce che trema di paura e disperazione. “Deve esserci qualcosa… un modo…” Non le rispondo. Non ho la forza per alimentare false speranze, non quando il vuoto dentro di me si espande, un abisso che minaccia di inghiottirmi con ogni passo.
Elisa è dietro di noi, un’ombra silenziosa che segue senza parlare. Sento il peso del suo sguardo, quegli occhi verdi così simili ai miei, carichi di un tormento che non voglio affrontare. Le sue spalle sono curve, come se portasse un fardello più grande del mio, ma non riesco a guardarla. Non ora. Il muro tra noi è ancora lì, fatto di segreti e silenzi, di un dolore che non so come perdonare. La sua presenza è un conflitto che mi soffoca, un rimorso che percepisco ma che non sono pronta a toccare. Ogni tanto, il vento porta il suono di un suo respiro spezzato, ma non mi volto. Non posso.
Un crepitio improvviso mi fa sobbalzare. Il terreno trema sotto di noi, una crepa si apre a pochi passi, rivelando un abisso da cui emerge un sussurro che mi gela il sangue. “Alina… vieni a me…” La voce del Divoratore, seducente e velenosa, si intreccia al ronzio del varco, un richiamo che mi tira verso il basso, verso un’oscurità che promette pace ma che so essere solo vuoto. Stringo il Sigillo più forte, il dolore che mi radica alla realtà, anche se ogni pulsazione è un coltello che mi scava dentro. “Non ti avrò,” mormoro tra i denti, ma la mia voce trema, incerta. So che non posso resistergli per sempre. Lo sento nel modo in cui il mio corpo cede, nel modo in cui la mia mente si frammenta a ogni istante.
La valle ci inghiotte, ogni passo un rischio, ogni rumore un presagio. I lampi indaco continuano a squarciare il cielo, illuminando per un istante rovine che sembrano osservarci, pietre nere coperte di muschio e incrostazioni viola che pulsano come vive. Un odore di cenere e morte mi avvolge, e il freddo della valle penetra nelle ossa, un gelo che non è solo fisico ma qualcosa di più profondo, qualcosa che mi sussurra che non dovrei essere qui. Eppure, il Sigillo pulsa, un richiamo che non posso ignorare, guidandomi verso l’Altare Antico, un luogo che so essere la mia condanna ma anche la mia unica speranza.
A metà del nostro cammino, mentre ci arrampichiamo su un pendio scivoloso, il Sigillo brucia con un’intensità che mi fa cadere in ginocchio. Un gemito mi sfugge dalle labbra, il dolore che si irradia lungo il braccio, un fuoco che mi consuma. La luce argentea si accende, instabile, e il mondo intorno a me svanisce. Una visione mi travolge, brutale e frammentaria. Sono all’Altare Antico, un monolite di pietra nera al centro di questa valle maledetta, circondato da catene di luce viola che pulsano come vive. Mio padre è lì, incatenato, il viso contorto dal dolore mentre il sangue cola dal suo petto, assorbito dalla roccia. Ogni goccia forma un sigillo, linee che si intrecciano come vene, mentre una voce antica, profonda come un abisso, lo maledice. “La tua stirpe porterà il peso. La tua stirpe chiuderà il varco… o lo aprirà.” L’ombra di qualcosa di colossale si forma attorno a lui, un’oscurità che mi chiama con un lamento straziato. “Alina…”
Torno alla realtà con un sussulto, il cuore che martella nel petto, il respiro corto come se stessi affogando. Il terreno sotto di me è freddo, umido, e il dolore del Sigillo è un’eco che mi scuote ancora. Mi guardo le mani, tremanti, la cicatrice sul palmo destro infiammata, bruciata dal liquido viola della Cripta e ora da questa visione che mi ha spezzato qualcosa dentro. Cosa significa? Il sangue di mio padre… il mio sangue… è davvero la chiave di tutto questo? Il terrore mi stringe la gola, ma non posso permettermi di crollare. Non ora. Mi rialzo, barcollando, ignorando lo sguardo preoccupato di Giulia che si avvicina, il manoscritto ancora stretto al petto. “Alina, stai bene?” La sua voce è un sussurro tremante, ma scuoto la testa, incapace di rispondere. Non sto bene. Non lo sarò mai più.
Il vento gelido si alza di nuovo, portando con sé un lamento che sembra personale, un richiamo che mi gela il sangue nelle vene. “Alina…” È il Divoratore, ne sono certa, o forse è solo la mia mente che si sta spezzando. Stringo i denti, il Sigillo che pulsa come a confermare la direzione, un faro di dolore che mi guida verso l’Altare. Ogni passo nella valle è una battaglia, il terreno che trema, le crepe che si aprono come bocche affamate, il liquido viola che sfrigola e mi brucia la pelle se mi avvicino troppo. Il vuoto dentro di me cresce, un abisso che mi chiama con la stessa voce seducente del Divoratore. “Qui non c’è lotta, Alina. Solo pace.” Ma so che è una bugia. Lo sento nel modo in cui il mio corpo si ribella, nel modo in cui il mio cuore si aggrappa al pensiero di Kael.
Ci fermiamo per un istante vicino a una rovina illuminata da un lampo indaco, un tempio spezzato che sembra osservarci con occhi invisibili. Il terreno trema di nuovo, più forte, e un’altra crepa si apre poco lontano, un abisso nero da cui emerge un sussurro che mi chiama per nome. “Alina…” Mi volto di scatto, il cuore in gola, ma non c’è nulla, solo il buio che si estende oltre la valle. Il Sigillo brucia, un dolore che mi radica alla realtà, e guardo verso l’orizzonte, dove l’Altare Antico mi aspetta, nascosto tra le ombre di questa terra maledetta. Il vento porta un altro lamento, un suono che sembra scavarmi dentro, ma stringo i pugni, ignorando il tremore del mio corpo. “Non mi fermerò,” sussurro a me stessa, la voce un filo spezzato ma determinato. Non finché Kael è con me. Non finché c’è ancora qualcosa da salvare.