reader.chapter — Risveglio nel Vuoto
Alina Moretti
Un gelo tagliente mi morde la pelle, strappandomi dal buio. Gli occhi si aprono a fatica, appesantiti da un’agonia che non ricordo di aver mai provato. Sotto di me, una superficie dura e fredda—pietra nera, liscia come vetro, ma viva, pulsante di un’energia che mi fa rabbrividire. Non c’è cielo sopra di me, solo un vuoto infinito, screziato di lampi viola che si intrecciano come vene in un corpo malato. Catene di luce, dello stesso viola accecante, mi stringono i polsi, bruciando la carne con un sibilo che mi strappa un gemito. Ogni respiro pesa, l’aria gelida mi trafigge i polmoni, satura di un odore di cenere e decadenza che mi fa rivoltare lo stomaco. Un ronzio, profondo e perforante, mi scuote la mente, come un’unghia che gratta dentro il cranio, incessante, insostenibile.
“Benvenuta a casa, figlia mia,” sussurra una voce. Non è una voce sola—è un coro, migliaia di anime perdute che si intrecciano in un lamento che mi gela il sangue. Mi irrigidisco, il cuore che martella contro le costole, mentre cerco di guardare intorno, ma non c’è nulla, solo isole di pietra nera che fluttuano nel nulla, sospese in un abisso che sembra respirare. Il Divoratore. Lo so, lo sento nelle viscere, un terrore primordiale che mi stringe la gola. Sono nel Confine Spezzato, un luogo che non dovrebbe esistere, un riflesso di qualcosa di rotto—dentro di me, fuori di me, non so più.
Cerco di muovermi, di tirarmi su, ma le catene mi trattengono, mordendo più a fondo. Un dolore lancinante mi attraversa i polsi, la pelle già segnata da ustioni e graffi che non ricordo di essermi procurata. I miei capelli, un groviglio incrostato di fango, cenere e sangue rappreso, mi cadono sul viso, appiccicosi e pesanti. La cicatrice sul palmo destro pulsa, il Sigillo di Umbra un marchio che sembra vivo, pronto a spezzarsi o a spezzarmi. Ogni battito è un coltello che affonda dentro di me, un richiamo che non voglio ascoltare, ma che non posso ignorare. Il mio corpo trema, al limite del collasso, la postura curva come se il peso di questo luogo mi stesse schiacciando vertebra per vertebra. Sono un relitto, una carcassa di ciò che ero, ma non posso cedere. Non ancora.
Dove sono finita? Come ci sono arrivata? La mente è un caos di frammenti, ricordi che scivolano via come acqua tra le dita. Un’immagine mi colpisce, improvvisa e brutale: Kael, i suoi occhi ambra spenti, il sangue che gli macchia il petto, le sue mani che mi sfuggono mentre un’esplosione di luce argentea ci separa. L’Altare Antico… la battaglia… il rituale fallito. Il cuore mi si stringe, un dolore più acuto di qualsiasi ustione. È vivo? L’ho perso? Un singhiozzo mi sfugge, un suono spezzato che si perde nel ronzio onnipresente di questo luogo maledetto. “Kael…” sussurro, ma la mia voce è un filo, un respiro tremante che muore prima ancora di nascere.
Le catene si stringono di più, come se rispondessero al mio tormento, e un altro gemito mi sfugge. Tiro con forza, ignorando il bruciore che mi lacera la pelle, i tremori che mi scuotono le braccia. Devo liberarmi. Devo tornare da lui. Ma ogni movimento è un’agonia, ogni pensiero un peso che mi spinge più a fondo in un vuoto che sento crescere dentro di me. È come se qualcosa mi stesse scavando l’anima, rubandomi pezzi di ciò che sono. Il Sigillo pulsa di nuovo, un’ondata di dolore che mi fa piegare in due, il fiato mozzato. È troppo. Troppo forte. Eppure, non posso arrendermi. Non ora, non mentre Kael potrebbe avere bisogno di me.
“Non puoi sfuggire,” ruggisce il coro nella mia mente, le voci che si sovrappongono in un’eco che mi fa stringere i denti. È il Divoratore, lo so. Mi parla come se mi conoscesse, come se fossi sua. La parola “figlia” mi si pianta nel petto come una lama, un richiamo oscuro che mi fa rabbrividire. Non sono tua, vorrei urlare, ma la paura mi paralizza. E se avesse ragione? E se fossi già perduta? Le visioni, il Sigillo, il sangue—tutto mi lega a lui, a questo posto. La mia pelle chiara, già segnata da graffi e ustioni da rune, sembra assorbire la luce viola, come se stessi diventando parte di questo abisso. Il pensiero mi fa venire la nausea, ma non riesco a scacciarlo.
Un movimento attira la mia attenzione, al limite della mia visione. Un’ombra, indistinta, si staglia contro il vuoto, silenziosa, immobile. Il cuore mi salta in gola. “Kael?” mormoro, la voce un sussurro disperato. Ma non c’è risposta, solo il ronzio e il sibilo delle catene. Strizzando gli occhi, cerco di mettere a fuoco, ma la nebbia violacea che avvolge questo luogo distorce tutto. Potrebbe essere lui. Deve essere lui. Oppure… un’illusione, un altro trucco del Divoratore per spezzarmi. La disperazione mi artiglia il petto, feroce, mescolata a un’ombra di rassegnazione che non voglio accettare. Non posso permettermi di sperare, non qui, non quando ogni cosa sembra volermi inghiottire.
Tiro di nuovo le catene, ignorando il dolore che mi brucia fino alle ossa. La mia pelle si lacera, il sangue scorre lungo i polsi, caldo e appiccicoso, ma non mi fermo. Ogni muscolo urla, il corpo al limite, ma la mente si aggrappa a un’unica certezza: devo sapere. Devo raggiungere quell’ombra. Se è Kael, se c’è anche una minima possibilità… non posso lasciarlo andare. Non di nuovo. Il ricordo del nostro ultimo bacio, disperato e carico di terrore, mi colpisce come un pugno. Le sue labbra fredde contro le mie, il suo respiro irregolare, la promessa che non l’avrei perso. Ma ora, in questo luogo, quella promessa sembra un’eco lontana, un sogno che si dissolve nel buio.
Il Sigillo pulsa ancora, un’ondata di energia che mi strappa un gemito. È come se stesse rispondendo a qualcosa, a qualcuno. Guardo il palmo, la cicatrice annerita e infiammata, e un brivido mi corre lungo la schiena. Questo potere, che ho usato fino a distruggermi, potrebbe essere la mia unica arma qui. Ma a che prezzo? Ogni volta che lo richiamo, sento il vuoto dentro di me espandersi, un abisso che mi reclama, proprio come il Divoratore. La paura di perdermi, di diventare ciò che combatto, mi stringe la gola. E se fosse già troppo tardi? E se il mio sangue, la mia eredità, mi avesse già condannata?
L’ombra si muove, appena percettibile, un passo verso di me. Il mio respiro si mozza, gli occhi verdi incavati che si fissano su quella figura indistinta. Ogni fibra del mio essere urla di correre, di raggiungerla, ma le catene mi tengono prigioniera, il corpo tremante che si rifiuta di obbedire. Il ronzio nella mia mente si intensifica, trasformandosi in un sussurro più distinto, gelido e seducente. “Non puoi sfuggire,” dice il Divoratore, la voce che mi accarezza come un tocco oscuro, facendomi rabbrividire. “Sei mia, figlia. Sempre lo sei stata.”
Un’ondata di terrore mi travolge, ma sotto di essa c’è qualcosa di più profondo, qualcosa che mi spaventa ancora di più: un richiamo, un’attrazione che non voglio ammettere. Le sue parole mi avvolgono, un abbraccio gelido che mi sfiora la pelle, amplificando il tormento che già mi consuma. Stringo i denti, scuotendo la testa come per scacciare quella voce, ma è ovunque, dentro di me, intorno a me. Il mio sguardo torna all’ombra, ora più vicina, i contorni appena accennati nel vuoto viola. Il Sigillo brucia con un’intensità che mi fa piegare, un gemito che mi sfugge mentre il dolore mi trafigge. Non so quanto ancora possa resistere, non so se ho la forza di combattere. Ma mentre il mio corpo cede, la mente si aggrappa a un ultimo pensiero, un’ancora che mi tiene sospesa sopra l’abisso: Kael. Se è davvero lui, se c’è anche una minima possibilità, devo trovarlo. Devo sapere.
Il vuoto dentro di me cresce, ma non mi arrendo. Non ancora.