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Romanzi romantici in un solo posto

reader.chapterLa Fenditura nel Crepuscolo


Alina

Un crepuscolo ferito si stendeva sulla Foresta di Selvoscuro, tingendo il cielo di un rosso malato che si mescolava a una nebbia violacea, innaturale, che sembrava strisciare tra gli alberi come un respiro vivo. Il silenzio, pesante come un sudario, era rotto solo da sussurri inquietanti, parole senza forma che si insinuavano nell’aria umida. Inginocchiata su un terreno scivoloso, con la terra fredda che mi inzuppava i pantaloni già sporchi di fango, fissavo il varco davanti a me. Una fenditura pulsante, una ferita aperta nel tessuto stesso della realtà, che si allargava lenta ma inesorabile. La luce viola che ne sgorgava sembrava viva, un’ombra che danzava e si contorceva, come se qualcosa dall’altra parte mi stesse osservando. Il cuore mi martellava nel petto, ogni battito un’eco del terrore che mi stringeva la gola.

Il ciondolo antico che portavo al collo bruciava contro la mia pelle, una sensazione che non riuscivo più a ignorare. Era un monito, un ricordo del sacrificio che avevo fatto nella Radura dell’Altare Antico per salvare Kael. Un prezzo che non comprendevo ancora del tutto, ma che sentivo pesare dentro di me, come un vuoto che cresceva a ogni respiro. I miei occhi verdi, segnati da troppe notti insonni, si riflettevano in quel bagliore malato, e per un istante non riconobbi il mio stesso sguardo. C’era qualcosa di più duro, più antico, come se la foresta stessa mi avesse marchiata.

“Alina,” la voce di Kael mi raggiunse, profonda e roca, spezzando il silenzio. Era accanto a me, accovacciato, il suo calore una presenza solida contro il freddo che mi avvolgeva. La sua mano, ruvida e segnata da cicatrici, stringeva la mia con una forza che tradiva la paura nei suoi occhi color ambra. “Non guardarlo troppo a lungo. Ti chiama, lo sai.”

Lo sapevo. Lo sentivo. Non era solo la luce del varco a fissarmi, ma qualcosa di più profondo, una presenza che si insinuava nella mia mente come un serpente. Una voce cavernosa, antica come gli alberi intorno a noi, mi sussurrava parole che non volevo capire. “Figlia del patto… vieni a me. Il tuo sangue mi appartiene. O tutto cadrà.” Ogni sillaba era un peso, un artiglio che si conficcava nei miei pensieri, facendomi tremare. Strinsi più forte la mano di Kael, come se potesse ancorarmi alla realtà, ma il ciondolo sembrava rispondere a quella voce, pulsando dolorosamente contro il mio petto.

“Non gli appartengo,” mormorai, più a me stessa che a lui, la voce incrinata. Ma non ero sicura di crederci. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo frammenti di sogni, visioni di una radura illuminata da una luna insanguinata, di mani che si tendevano verso di me, di un’oscurità che mi reclamava. E ogni volta, quel vuoto dentro di me si allargava, come se stessi perdendo pezzi di me stessa.

La foresta intorno a noi sembrava trattenere il fiato. I rami delle querce secolari si intrecciavano sopra le nostre teste, formando una gabbia di ombre che lasciava filtrare appena il bagliore del crepuscolo. L’odore di terra bagnata e muschio si mescolava a qualcosa di più acre, come cenere, un sentore che non apparteneva a questo mondo. Il vento sibilava tra le foglie, portando con sé un lamento che mi faceva accapponare la pelle.

Improvvisamente, il varco fremette, un rombo sordo che fece tremare il terreno sotto di noi. La luce viola si intensificò, e dall’interno emerse un’ombra, una forma indistinta di fumo e cenere che si coagulò in qualcosa di orribile. Una creatura, alta e scheletrica, con occhi rossi che bruciavano come tizzoni, si avventò verso di noi con un sibilo che sembrava un grido. Il cuore mi si fermò per un istante, il terrore puro che mi paralizzava, ma l’istinto prese il sopravvento.

“No!” urlai, alzandomi di scatto e tendendo una mano verso la creatura. Il ciondolo si accese di una luce argentea, accecante, che scaturì dal mio petto come un’onda. La sentii scorrere dentro di me, un potere che non capivo ma che rispondeva al mio bisogno disperato di proteggere, di combattere. La luce colpì la creatura, disintegrandola in un’esplosione di cenere che ricadde intorno a noi come neve sporca. Ma il varco non si fermò. Si allargò con un altro rombo, una gola che si spalancava famelica, e il terreno sotto i miei piedi si crepò, come se la foresta stessa stesse urlando di dolore.

Crollai in ginocchio, il respiro spezzato, il corpo tremante per lo sforzo. Quel potere, qualunque cosa fosse, mi aveva salvata, ma a che prezzo? Il vuoto dentro di me si era ampliato, un buco nero che sembrava divorarmi dall’interno. Mi portai una mano al petto, il ciondolo ancora caldo sotto le dita, e per un momento ebbi paura di guardarmi dentro, di scoprire cosa stavo diventando.

“Alina, stai bene?” Kael mi afferrò per le spalle, il suo tono urgente, gli occhi ambra pieni di una paura che raramente gli vedevo. La sua forza era un’ancora, ma potevo sentire la tensione nel suo tocco, il modo in cui le sue mani tremavano appena. Anche lui aveva visto il varco espandersi, aveva sentito quel rombo che sembrava promettere distruzione. I suoi capelli neri, spettinati, gli cadevano sul viso, e una nuova cicatrice sul suo fianco, visibile sotto la camicia strappata, mi ricordava quanto avesse già sofferto per me.

“Non lo so,” ammisi, la voce un sussurro. “Sento… qualcosa che manca. Come se ogni volta che uso questo potere, perdo un pezzo di me.” Le parole mi sfuggirono prima che potessi fermarle, crude e vere. Mi guardai le mani, sporche di terra, graffiate, e mi chiesi se fossero davvero le mie.

Kael strinse la mascella, il volto duro, ma nei suoi occhi c’era qualcosa di più morbido, una vulnerabilità che mi fece battere il cuore più forte. “Non possiamo lasciarlo continuare,” disse, la voce bassa, quasi un ringhio. “Dobbiamo sigillare questo portale, Alina. Prima che distrugga tutto. Il borgo, la foresta, il mio branco… non sopravvivremo se questo… cosa, dall’altra parte, verrà fuori.”

Annuii, anche se il peso delle sue parole mi schiacciava. Sapevo che aveva ragione. Il Borgo di Pietraluna, con le sue case di pietra e le sue superstizioni, non avrebbe resistito. Il branco di Kael, già diviso, sarebbe caduto. E io… non sapevo se avrei potuto fermare ciò che stava arrivando. Ma guardandolo, con quella luce viola che si rifletteva sui nostri volti, sentii una scintilla di determinazione accendersi dentro di me, nonostante la paura. Non potevo arrendermi. Non ora.

Il suo sguardo si posò su di me, intenso, e per un momento il mondo intorno a noi svanì. C’era solo lui, il calore della sua mano che ancora stringeva la mia, il modo in cui i suoi occhi sembravano vedere oltre le mie paure, fino al cuore di ciò che ero. La tensione tra noi era un filo teso, un misto di bisogno e paura, di qualcosa che nessuno dei due osava nominare. Il mio respiro si fece più corto, e per un istante desiderai che mi avvicinasse a sé, che mi facesse dimenticare tutto con un tocco. Ma non eravamo al sicuro, non qui, non ora.

Un ululato lontano squarciò la notte, un suono che non apparteneva a nessun lupo che conoscevo. Era profondo, gutturale, un richiamo che sembrava provenire dal varco stesso. La foresta tremò, e il bagliore viola si intensificò, illuminando le nostre figure come un presagio. Mi voltai verso quella fenditura, il cuore che batteva all’impazzata, sapendo che il tempo stava per scadere. Qualunque cosa fosse dall’altra parte, ci stava aspettando. E io non ero sicura di essere pronta a scoprire cosa volesse da me.## La Fenditura nel Crepuscolo

Alina

Un velo di crepuscolo si stendeva sulla Foresta di Selvoscuro, tingendo ogni cosa di un blu profondo e malinconico. La nebbia, densa e violacea, si avvolgeva intorno agli alberi contorti come un amante possessivo, soffocando ogni suono tranne i sussurri innaturali che sembravano provenire da ogni direzione. Sotto le mie ginocchia, il terreno era umido e scivoloso, intriso di un freddo che mi penetrava nelle ossa. Ma non era il freddo a farmi tremare. Davanti a me, il varco pulsava come una ferita aperta nel tessuto stesso della realtà, un’aberrazione di energia oscura che si allargava con un ritmo lento, quasi vivo. Bagliori viola danzavano lungo i suoi bordi frastagliati, illuminando la terra screpolata e riflettendosi nei miei occhi verdi, segnati da troppe notti insonni.

Il ciondolo antico appeso al mio collo bruciava contro la pelle, un dolore acuto e costante che mi ricordava il prezzo pagato. Non era solo un oggetto, non più. Era un monito, un peso che portavo da quando avevo compiuto quel sacrificio nella Radura dell’Altare Antico per salvare Kael. Avevo ceduto qualcosa di me, qualcosa che non riuscivo ancora a comprendere, e quel vuoto mi seguiva come un’ombra. Ogni battito del mio cuore sembrava amplificarlo, un’eco sorda che mi faceva stringere i denti. “Che cosa ho fatto?” sussurrai tra me e me, la voce persa nel vento che sibilava tra i rami.

Accanto a me, Kael era una presenza solida, quasi ferina, anche nella sua immobilità. I suoi occhi ambra, solitamente così feroci, erano velati da una paura che non gli avevo mai visto prima. La sua mano, ruvida e calda, stringeva la mia con una forza che era insieme conforto e urgenza. Sentivo il calore della sua pelle contro la mia, un contrasto con il gelo che mi avvolgeva, e per un istante desiderai perdermi in quel calore, lasciarmi andare. Ma non potevo. Non ora. Non con quella cosa davanti a noi. Il varco sembrava fissarci, un occhio maligno che ci attirava e ci respingeva allo stesso tempo.

“Il tuo sangue mi chiama, figlia del patto,” ruggì una voce cavernosa nella mia mente, profonda come il cuore della foresta stessa. Mi irrigidii, il respiro mozzato. Era lo spirito della foresta, o almeno così credevo, quella forza antica che mi aveva reclamato dal momento in cui avevo aperto il varco. “Consegnati, o tutto sarà cenere.” Ogni parola era una lama, un’accusa che mi trafiggeva. Chiusi gli occhi per un istante, cercando di scacciarla, ma il bruciore del ciondolo si intensificò, come se anche lui rispondesse a quella voce. “Non posso,” mormorai, più a me stessa che a chiunque altro. Ma il dubbio mi artigliava: e se non avessi avuto scelta?

Kael strinse la mia mano con più forza, riportandomi al presente. “Alina,” disse, la voce roca, spezzata da una stanchezza che non era solo fisica. “Dobbiamo sigillare questo portale. O tutto ciò che conosciamo sarà perduto.” Le sue parole erano un comando, ma c’era una supplica nascosta dietro di esse, un peso che vedevo riflesso nei suoi occhi. Il Borgo di Pietraluna, la foresta, il suo branco… tutto pendeva da un filo, e io ero il nodo che poteva stringersi o spezzarsi. Annuii, incapace di rispondere, la gola stretta da un groppo di paura e senso di colpa. Era colpa mia. Avevo aperto questa cosa, questa ferita, e ora il mondo rischiava di pagarne il prezzo.

Prima che potessi dire altro, un’ombra si mosse oltre il varco, un movimento lento e predatorio che fece gelare il sangue nelle vene. La nebbia viola si addensò, e da quella fenditura emerse una creatura di fumo e cenere, una forma indistinta che si ergeva come un incubo diventato carne. I suoi occhi, rossi come braci vive, ci fissarono con una fame antica, e un ringhio profondo fece tremare la terra sotto di noi. Mi tirai indietro istintivamente, il cuore che martellava contro le costole, mentre Kael si mise davanti a me, il corpo teso come una molla pronta a scattare. “Sta’ dietro di me,” ringhiò, ma la sua voce tradiva un’ombra di incertezza.

Non potevo lasciarlo affrontare quella cosa da solo. Non di nuovo. “No,” dissi, sorprendendo persino me stessa per la fermezza nelle mie parole. Mi alzai, le gambe tremanti, e strinsi il ciondolo tra le dita. Bruciava così forte che temevo mi avrebbe ustionato la pelle, ma non lo lasciai andare. La creatura si avventò su di noi, le sue forme di fumo che si solidificavano in artigli affilati, e io agii d’istinto. Chiusi gli occhi, lasciando che quel potere dentro di me, quel frammento argenteo che avevo sentito solo poche volte, si risvegliasse. Era come una marea, una luce che mi attraversava, dolorosa e irresistibile. La sentii scorrere lungo le braccia, fuoriuscire dalle dita, finché un’onda di energia argentea non esplose davanti a me, colpendo la creatura in pieno.

Un urlo innaturale squarciò l’aria mentre la cosa si disintegrava in volute di cenere, dissipandosi come un brutto sogno. Ma la vittoria non durò. Il varco emise un rombo profondo, un suono che sembrava provenire dalle viscere della terra, e i suoi bordi si allargarono, i bagliori viola che si intensificavano fino a ferire gli occhi. Caddi in ginocchio, il respiro affannoso, un vuoto che mi cresceva dentro come una voragine. Era sempre così dopo aver usato quel potere: una stanchezza che non era solo del corpo, ma dell’anima. Qualcosa mi mancava, qualcosa che non riuscivo a nominare, e ogni volta che richiamavo quella luce, il vuoto si allargava.

“Alina!” La voce di Kael mi raggiunse come un’ancora, e sentii le sue mani sulle mie spalle, forti e disperate. Mi sollevò, il suo tocco un misto di urgenza e preoccupazione. “Stai bene?” I suoi occhi cercarono i miei, e per un momento tutto il resto svanì: il varco, la foresta, la paura. C’era solo lui, il calore del suo respiro vicino al mio viso, la tensione nei suoi muscoli mentre mi teneva. Sentii un’ondata di qualcosa che non volevo nominare, un desiderio che mi scaldava il sangue nonostante il freddo. Ma non era il momento. Non poteva esserlo.

“Sto… sto bene,” mentii, la voce tremante. Non stavo bene. Sentivo il ciondolo pulsare contro di me, un richiamo che non potevo ignorare, e la voce nella mia mente rideva, un suono basso e minaccioso che mi faceva venire la pelle d’oca. “Ma questo… non possiamo lasciarlo aperto. Hai ragione. Dobbiamo fare qualcosa.” Le parole uscivano a fatica, ma sapevo che non c’era altra scelta. La mia casa, il borgo, Giulia, persino mia madre… tutto rischiava di essere inghiottito se non avessimo agito.

Kael annuì, il volto duro, ma non lasciò andare la mia mano. “Lo faremo. Insieme.” C’era una promessa in quelle parole, una determinazione che mi diede un barlume di speranza, anche se il peso della situazione mi schiacciava. Il bagliore viola del varco ci avvolse, illuminando i nostri volti come un riflettore spettrale. I suoi lineamenti, segnati da nuove cicatrici e da una stanchezza che non poteva nascondere, sembravano quasi eterei sotto quella luce. E io? Mi chiesi come apparivo ai suoi occhi. Esausta, spezzata, ma forse anche determinata. Dovevo esserlo.

Un ululato lontano squarciò il silenzio della foresta, un suono che poteva appartenere al branco di Kael o a qualcosa di molto più oscuro. Mi rialzai, appoggiandomi a lui per un istante, il cuore che batteva forte contro il petto. Dovevamo muoverci, fuggire da quel luogo prima che altre creature emergessero dal varco. Ma mentre ci allontanavamo, con il rombo del portale che ci seguiva come un’ombra, non potei fare a meno di voltarmi indietro. La fenditura ci osservava, un muto giuramento di distruzione, e io sapevo, nel profondo, che questa non era che l’inizio di un incubo molto più grande.