reader.chapter — Rifugio nelle Ombre
Alina
La Foresta di Selvoscuro ci inghiottiva, un labirinto di ombre e sussurri che sembrava stringersi intorno a noi come una bestia viva. Il bagliore viola del varco, quella cicatrice pulsante nel tessuto del mondo, ancora bruciava nei miei occhi mentre correvo dietro a Kael. Il terreno umido cedeva sotto i miei piedi, scivoloso di fango e muschio, e ogni passo sembrava risuonare troppo forte, come se la foresta stessa ci stesse ascoltando. Il mio respiro era corto, spezzato non solo dalla fatica, ma da un terrore che mi stringeva il petto come una morsa. Il ciondolo antico al mio collo pesava più del solito, bruciando contro la pelle con un calore che non riuscivo a ignorare, un promemoria del potere che avevo scatenato per distruggere quella creatura d’ombra. Un potere che mi aveva lasciata vuota, come se un pezzo di me fosse rimasto là, inghiottito da quella fenditura oscura.
Kael si muoveva davanti a me, la sua figura alta e muscolosa quasi inghiottita dalla nebbia violacea che si infittiva a ogni istante. I suoi passi erano sicuri, ma potevo vedere la tensione nelle sue spalle, il modo in cui la sua testa si voltava di scatto a ogni fruscio tra i rami. Un ululato lontano squarciò il silenzio, ambiguo e gelido, e il mio cuore perse un battito. Era il branco? O qualcosa di peggio, qualcosa che emergeva dal varco per darci la caccia? Non osavo chiederlo. Mi voltai un’ultima volta verso la direzione del portale, anche se non potevo più vederlo attraverso il fitto degli alberi. Eppure lo sentivo, un richiamo profondo e malsano che sembrava sussurrare il mio nome, intrecciandosi con la voce cavernosa che ancora echeggiava nella mia mente: “Figlia del patto, vieni a me.” Rabbrividii, stringendo i pugni, e accelerai per raggiungere Kael.
“Non ti fermare, Alina,” grugnì lui senza guardarmi, la voce roca e tesa come una corda sul punto di spezzarsi. Ci infilammo in un sentiero nascosto, un passaggio tra rocce e rovine muschiose che sembrava scavato dalla natura stessa per proteggerci… o intrappolarci. Non riuscivo a smettere di pensare al vuoto dentro di me, a quella sensazione di perdita che si era insinuata dopo aver usato il mio potere. Era come se ogni volta che richiamavo quella luce argentea, qualcosa di me venisse strappato via. E se fosse stato permanente? E se il sacrificio per salvare Kael mi avesse già consumata più di quanto potessi sopportare?
Dopo quella che mi sembrò un’eternità, il terreno cominciò a salire, e finalmente intravidi l’entrata della Tana Segreta del Branco, una fessura tra le rocce di una collina che si apriva su un sistema di caverne. Torce tremolanti illuminavano l’interno, proiettando ombre danzanti sulle pareti ruvide. L’odore di pelliccia bagnata e fumo mi colpì come uno schiaffo, mescolato a un sentore acre di tensione, quasi palpabile. Gli occhi dei licantropi ci accolsero, alcuni curiosi, altri ostili, mentre ringhi soffocati e mormorii si levavano dalle profondità della caverna. Mi irrigidii, sentendo il peso di quegli sguardi come pietre sulla schiena. La mia treccia, ormai disfatta, lasciava ciocche di capelli castani cadere sul viso, nascondendo in parte i miei occhi verdi segnati da troppe notti insonni. Ma non potevo nascondere la stanchezza, né i graffi freschi sulle braccia, né la paura che mi scuoteva dentro.
“Non mostrare debolezza,” mi sussurrò Kael, avvicinandosi appena mentre superavamo un gruppo di licantropi che ci osservava in silenzio. La sua voce era un ringhio basso, ma c’era una nota di preoccupazione che non mi sfuggì. I suoi occhi ambra, solitamente così feroci, cercarono i miei per un istante, e vi lessi un’ombra che non gli apparteneva. Paura, forse. O colpa. Non lo sapevo, e questo mi spaventava ancora di più.
“Non so se ce la faccio a sopportare tutto questo,” mormorai, il tono morbido ma spezzato, mentre abbassavo lo sguardo sul ciondolo che stringevo tra le dita. Bruciava ancora, un calore che sembrava pulsare al ritmo del mio cuore. Kael non rispose subito, ma sentii la sua mano sfiorarmi la schiena per un istante, un gesto rapido, quasi impercettibile, prima che si allontanasse di nuovo. Quel contatto, per quanto fugace, mi scaldò più di quanto avrei voluto ammettere, ma non bastò a scacciare il gelo che mi avvolgeva.
Ci spostammo in un angolo della caverna, lontano dagli sguardi più ostili. Le torce gettavano una luce calda sul viso di Kael, evidenziando le cicatrici fresche e la stanchezza che gli incupiva i lineamenti. Si passò una mano tra i capelli neri spettinati, poi si chinò verso di me, la voce ridotta a un sussurro grave, quasi reverenziale. “Dobbiamo parlare del varco. C’è un modo per chiuderlo, ma non sarà facile. Esiste un artefatto, il Sigillo di Umbra, nascosto nella Cripta delle Lamentazioni. È un luogo antico, un labirinto di rovine dimenticate, intriso di un potere che potrebbe distruggerci prima ancora di raggiungerlo.”
Sgranai gli occhi, il ciondolo che pulsava più forte tra le mie dita. “Un artefatto? E come può aiutarci?” La mia voce tremava, un misto di speranza e terrore. Kael esitò, il suo sguardo che si perdeva oltre me, come se stesse rivivendo un ricordo che lo tormentava. “Il Sigillo è legato agli antichi patti, quelli che hanno sigillato entità come il Divoratore di Mondi, l’essere che abita il varco. Ma c’è di più, Alina. Il Divoratore… è legato a te, al tuo sangue. Non so come, non ancora, ma il patto che ti reclama non è un caso.”
Le sue parole mi colpirono come un pugno, lasciandomi senza fiato. Il sangue mi si gelò nelle vene, e strinsi il ciondolo così forte che le nocche sbiancarono. “Come può essere possibile? Io… io non capisco. Come può volere me?” La mia voce era un sussurro disperato, ma Kael non rispose. Distolse lo sguardo, la mascella contratta, e in quel momento capii che c’era qualcosa che non mi stava dicendo. Un segreto, un peso che lo schiacciava quanto il varco schiacciava me. La tensione tra noi si fece palpabile, un filo invisibile che ci legava e ci divideva allo stesso tempo.
Prima che potessi insistere, un ringhio profondo ruppe il silenzio della caverna. Mi voltai di scatto, il cuore che mi martellava nel petto, e vidi Torak avvicinarsi. Era un licantropo anziano, il corpo segnato da cicatrici di innumerevoli battaglie, gli occhi che brillavano di un’ostilità che non faceva nulla per nascondere. La luce delle torce danzava sulla sua figura massiccia, rendendo ogni movimento minaccioso. “È lei il problema,” ringhiò, puntando un dito verso di me. La sua voce era un tuono che echeggiava nelle gallerie della tana. “Questa umana ha portato il disastro tra noi. Il varco, le creature d’ombra… tutto per colpa sua. Non appartiene a questo posto, Kael. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro.”
Abbassai lo sguardo, sentendo il peso delle sue parole come un macigno. Il ciondolo sembrava bruciare ancora di più, quasi a confermare le accuse di Torak. Intorno a noi, il branco si divise: alcuni ringhiarono in accordo, i loro occhi lampeggianti di rabbia, mentre altri rimasero in silenzio, incerti. Sentii l’aria farsi più densa, carica di una tensione che minacciava di esplodere. Kael si mise davanti a me, il suo corpo teso come quello di un predatore pronto a colpire. “Bada a come parli, Torak,” disse, la voce un ringhio basso e pericoloso. “Alina non ha scelto questo. Ma è qui, e combatterà con noi. Se hai un problema, vieni a dirlo a me.”
Torak non si mosse, ma il suo sguardo non vacillò. “Non dimenticare chi sei, alfa,” sputò, la parola carica di disprezzo. “O dovrò ricordartelo io.” Si voltò, seguito da alcuni membri del branco, lasciando un silenzio pesante alle sue spalle. Mi tremavano le mani, e il cuore mi batteva così forte che temevo potessero sentirlo tutti. Ero un’estranea qui, una minaccia agli occhi di troppi. Eppure, in quel momento, sentii un barlume di determinazione accendersi dentro di me. Se il varco era colpa mia, allora dovevo fare tutto il possibile per chiuderlo. Non potevo permettere che il mio sacrificio fosse stato vano.
Notai Luna in disparte, i capelli biondo cenere che brillavano sotto la luce delle torce, gli occhi azzurri che mi osservavano con un’espressione indecifrabile. Non c’era l’ostilità di Torak, ma nemmeno un’aperta accoglienza. Solo un’ombra di curiosità, forse, mista a un sarcasmo che sembrava parte di lei. Mi lanciò un’occhiata, un cenno quasi impercettibile, prima di distogliere lo sguardo. Non sapevo cosa significasse, ma per un istante sentii un piccolo conforto, come se non fossi del tutto sola in quel nido di lupi.
Mi ritirai in un angolo della tana, lontana dagli altri, mentre Kael discuteva a bassa voce con Luna. La luce delle torce illuminava il suo viso, evidenziando la stanchezza e una tensione che sembrava andare oltre la sfida di Torak. Sfiorò una cicatrice sul fianco, un gesto involontario che attirò la mia attenzione. C’era un dolore lì, un ricordo che lo tormentava, e mi chiesi cosa lo avesse segnato così profondamente. Stringendo il ciondolo, che pulsava debolmente contro la mia pelle, lasciai che i pensieri mi avvolgessero. Le parole di Kael sul Divoratore e sul mio sangue mi pesavano come un destino oscuro che non potevo sfuggire. Ero intrappolata tra il desiderio di aiutare e la paura di essere la causa di ulteriori sofferenze. Eppure, quell’occhiata di Luna, quel cenno fugace, mi dava un filo di speranza, anche se intrecciato a un’ombra di incertezza.
Un tremore leggero del terreno mi riportò alla realtà, un’eco del varco lontano che scuoteva la caverna. Il tempo stava per scadere, lo sentivo nelle ossa. E mentre osservavo Kael dall’altro lato della tana, con le ombre che danzavano sul suo viso tormentato, capii che questo era solo l’inizio di una lotta che avrebbe potuto spezzarci tutti.