Scarica l'app

Romanzi romantici in un solo posto

reader.chapterSegreti nella Nebbia


Terza Persona (focus su Dante)

Una nebbia gelida, tinta di un viola innaturale, si avvolgeva come un sudario intorno al Borgo di Pietraluna, soffocando i vicoli stretti e insinuandosi tra le case di pietra grigia. La luce del mattino, pallida e incerta, non riusciva a penetrare quel velo inquietante, lasciando il villaggio immerso in un crepuscolo perpetuo. Nel cuore di un vicolo dimenticato, un gruppo di abitanti si radunava, i volti tesi e gli occhi pieni di paura, davanti a un muro su cui una runa minacciosa era stata incisa durante la notte. Il simbolo, dai contorni frastagliati, sembrava pulsare di un’energia oscura, come se la pietra stessa respirasse un male antico. Un vento freddo sibilava tra le tegole sbiadite, portando con sé sussurri che non appartenevano a nessuna voce umana.

“La foresta si sta risvegliando,” mormorò un anziano, la voce roca e tremante, stringendo un bastone nodoso come se potesse proteggerlo da ciò che non poteva vedere. La sua barba bianca fremeva mentre lanciava occhiate nervose verso l’orizzonte, dove le colline si perdevano in un’oscurità che sembrava viva. Una donna accanto a lui, con uno scialle tirato fin sopra la testa, si fece il segno della croce, borbottando una preghiera spezzata. “È colpa di quelli come lei, sempre a ficcare il naso dove non dovrebbero. Donne che portano sventura.”

Nessuno pronunciò il nome di Alina, ma il peso di quell’accusa aleggiava nell’aria, pesante come la nebbia che li avvolgeva. Il borgo, un tempo un rifugio sicuro tra le colline toscane, era ora un nido di sospetti e terrore. Le campane della torre centrale suonavano un rintocco sordo, quasi un lamento, mentre gli abitanti si disperdevano, tornando alle loro case con passi affrettati, temendo che la luce del giorno non sarebbe mai più tornata.

A pochi chilometri dal borgo, in una radura ai margini della Foresta di Selvoscuro, la pioggia batteva incessante, trasformando il terreno in una melma scivolosa. Dante Rossi si ergeva al centro di quel luogo desolato, una figura imponente e intimidatoria, il cappotto di pelle scura fradicio e appesantito dall’acqua. La cicatrice che gli attraversava il sopracciglio destro sembrava più profonda sotto la luce grigia del cielo, un marchio di battaglie passate che si intrecciava con la nuova ferita al braccio, un ricordo bruciante dello scontro con Alina nella Radura dell’Altare Antico. Ogni movimento gli strappava una smorfia di dolore, ma i suoi occhi grigi, freddi come acciaio, non mostravano debolezza. Stringeva tra le mani un pugnale riparato, la lama incisa con rune che vibravano di un’energia instabile, come se protestassero contro il tocco della pioggia.

Intorno a lui, un gruppo di cacciatori, uomini e donne dai volti duri, si radunava in un cerchio irregolare, i loro abiti da caccia macchiati di fango e sangue secco. Alcuni portavano torce che sibilavano sotto l’acqua, la luce tremolante che gettava ombre inquietanti sui loro lineamenti tesi. Dante li osservava uno a uno, il suo sguardo un’arma affilata quanto il pugnale che teneva in mano. “Il varco è la chiave,” disse, la voce dura e tagliente, sovrastando il rumore della pioggia. “Non è una minaccia, ma un’opportunità. Un’arma che piegheremo al nostro volere, per purificare questa terra una volta per tutte.”

Un cacciatore più giovane, con capelli castani appiccicati al viso e occhi nervosi che guizzavano verso la foresta, osò sollevare una mano. “Ma signore, i sussurri… le ombre che vediamo nel borgo… e se fosse troppo pericoloso? Se questo varco ci consumasse prima di loro?” La sua voce tremava, tradendo una paura che non riusciva a nascondere.

Dante si voltò verso di lui con una lentezza predatoria, il volto una maschera di disprezzo. “Il rischio è nulla rispetto al caos che quella strega e il suo cane porteranno,” ringhiò, avvicinandosi finché il giovane non abbassò lo sguardo, intimidito. “Alina Moretti ha aperto quella fenditura, e ora il potere che ne sgorga è nostro da reclamare. Quanto a Kael…” La sua voce si incrinò per un istante, un lampo di qualcosa di più profondo—dolore, forse, o un’ira antica—che attraversò i suoi occhi prima di svanire. “Lui pagherà per ogni istante che ha passato a sfidarmi. Questo non è solo ordine. È personale.”

Gli altri cacciatori rimasero in silenzio, il peso delle parole di Dante che si depositava su di loro come la pioggia che li inzuppava. Nessuno osò chiedere cosa lo legasse a Kael, ma le occhiate scambiate tra loro parlavano di curiosità e disagio. Dante si raddrizzò, stringendo il pugnale con una forza che fece sbiancare le nocche. La lama vibrò, un riflesso viola che danzava sulla sua superficie, quasi come se il varco stesso lo osservasse da lontano. “Abbiamo inciso le rune nel borgo per tenere a bada le creature che strisciano fuori da quella cicatrice nel mondo. Ma non basta. Dobbiamo trovare la strega. È lei la chiave per dominare il varco.”

Nel borgo, meanwhile, la tensione cresceva come un fuoco alimentato dal vento. Nelle taverne e nelle piazze, le voci si intrecciavano in un coro di paura e sospetto. “Ho visto un’ombra muoversi vicino alla vecchia chiesa,” sussurrava un contadino, stringendo una forca come se fosse un’arma. “Non era umana, ve lo giuro.” Una donna, con un cesto di pane ormai dimenticato tra le mani, scuoteva la testa con veemenza. “Non è la foresta il problema. Sono i cacciatori, con le loro rune e i loro segreti. Stanno portando il male qui, non lo scacciano!” Ma un’altra voce, più acuta e carica di veleno, si levava sopra le altre. “E quella ragazza, Alina? Sempre a gironzolare vicino al bosco, come se fosse attirata da qualcosa. È lei che ha portato tutto questo. Lo sanno tutti.”

Le parole si diffondevano come un veleno, dividendo la comunità che un tempo si era stretta intorno ai ritmi della terra. Gli anziani, seduti nei loro consigli informali sotto i portici, osservavano con occhi stanchi, incapaci di placare il panico che si insinuava in ogni casa. Rune come quella nel vicolo erano spuntate ovunque, sui muri delle abitazioni, sulle porte delle stalle, persino sulle pietre della piazza centrale. Ogni simbolo sembrava un monito, un’accusa, e il loro bagliore viola, appena percettibile nella nebbia, alimentava le superstizioni che da sempre avevano avvolto il borgo. Pietraluna non era più un rifugio. Era un campo di battaglia, anche se nessuno sapeva esattamente contro chi o cosa stessero lottando.

Dante, ignaro o incurante del caos che le sue azioni stavano seminando, si allontanava dalla radura con passi decisi, i suoi uomini che lo seguivano come ombre silenziose. La pioggia gli scorreva lungo il viso, ma lui non sembrava sentirla, perso nei suoi pensieri. Ogni passo sembrava scandire un giuramento, ogni goccia che cadeva un ricordo di ciò che aveva perso, di ciò che lo spingeva a continuare questa crociata. Kael. Il nome gli bruciava nella mente come la ferita al braccio, un’eco di un passato che non poteva seppellire. E Alina, quella ragazza che avrebbe dovuto essere solo un ostacolo, era diventata un’ossessione. Il potere che aveva visto nella radura, quell’energia argentea che aveva distrutto il suo pugnale, era qualcosa che non poteva ignorare. Qualcosa che doveva controllare, o distruggere.

Si fermò sotto un albero contorto, le radici che emergevano dal terreno come artigli, e alzò il pugnale verso il cielo plumbeo. La lama tremò, un bagliore viola che si rifletteva sulla superficie come un occhio che lo fissava, un’ombra di ciò che pulsava oltre il varco. “Trovate la strega,” ordinò, la voce carica di una furia che sembrava scuotere la foresta stessa. “Non avrà scampo, e nemmeno quel mostro che chiama compagno. La foresta brucerà con loro.”

I cacciatori si dispersero nella notte, le loro figure che svanivano nella nebbia come spettri. Dante rimase immobile per un lungo istante, il pugnale ancora sollevato, il riflesso viola che sembrava danzare sulla lama con una vita propria. Un sussurro, appena percettibile, si levò dal vento, un suono che non apparteneva a questo mondo. Lui non lo udì, o forse scelse di ignorarlo. Ma l’ombra sul pugnale si intensificò, un presagio di un pericolo che si avvicinava, una minaccia che non apparteneva solo ad Alina o a Kael, ma a tutto ciò che rimaneva di quel fragile equilibrio tra mondi.