reader.chapter — Ombre sul Lago
Alina
Un cielo nero come l’inchiostro si squarcia sopra di me, solcato da lampi viola che sembrano ferite di luce, riflettendosi sull’acqua stagnante del Lago delle Ombre. Sono inginocchiata sulla riva fangosa, il freddo che mi morde le ginocchia attraverso i pantaloni logori, il corpo scosso da tremiti che non so se attribuire al gelo o alla paura. Il ciondolo antico che porto al collo brucia come un ferro rovente contro la mia pelle, una lama che scava nel petto, mentre il ronzio profondo del varco, un portale di energia oscura, pulsa nell’aria come un cuore malato. Lo vedo, distorto sulla superficie nera del lago: una fenditura di pura oscurità, bordata di bagliori violacei, che sembra fissarmi, chiamarmi. Dentro di me, il vuoto si allarga, un buco nero che mi risucchia, lasciandomi senza fiato, senza forza. Le ombre sotto i miei occhi sembrano più profonde, scavate dalla stanchezza e dalle visioni che non mi danno pace. Non so quanto ancora posso resistere.
La foresta intorno è un’entità viva, ostile. Gli alberi contorti si piegano come se volessero afferrarmi, le loro cortecce trasudano una linfa nera che puzza di cenere e decomposizione. Il vento gelido sibila tra i rami, portando con sé un lamento antico, un suono che mi fa rizzare i peli sulla nuca. Ogni fruscio, ogni scricchiolio del terreno sotto di me, mi fa sobbalzare. Sono sola, troppo sola, e il peso di tutto ciò che ho fatto, di tutto ciò che sto perdendo, mi schiaccia. Il ciondolo pulsa con un ritmo febbrile, specchio della mia anima tormentata, e sento il palmo della mano destra bruciare, là dove la cicatrice si è riaperta, un ricordo del potere che mi sta consumando.
Poi la sento. Una voce, cavernosa e seducente, che si insinua nella mia mente come un serpente, scivolando tra i miei pensieri. “Vieni a me, figlia del patto,” sussurra, ogni parola un tocco gelido che mi accarezza la spina dorsale. “Troverai pace. Basta lotta, basta dolore. Arrenditi, e tutto finirà.” Il tono è vellutato, un misto di minaccia e conforto, e mi colpisce come un pugno. Il Divoratore di Mondi. È lui, lo so, lo sento nel modo in cui il ciondolo vibra, nel modo in cui il vuoto dentro di me risponde, allargandosi come una voragine. La mia mano trema mentre si tende verso l’acqua, quasi contro la mia volontà, attirata da quella promessa di oblio. L’acqua è un specchio nero, e per un istante vedo il mio riflesso: capelli castani spettinati, incrostati di terra e cenere, occhi verdi incavati, pieni di un tormento che non riesco più a nascondere. Non sono più io. O forse lo sono troppo.
Improvvisamente, un’ondata di immagini mi travolge, visioni così reali che mi mozzano il respiro. Vedo Kael, il suo corpo muscoloso riverso su un letto di foglie insanguinate, la ferita al petto che stilla sangue scuro, i suoi occhi ambra che si spengono mentre mi tende una mano che non posso raggiungere. “Alina…” sussurra, e la sua voce è un coltello nel mio cuore. Poi il Borgo di Pietraluna appare davanti a me, avvolto da fiamme nere che divorano le case di pietra. Le urla degli abitanti, il crepitio del legno, l’odore di carne bruciata mi soffocano. Giulia, mia madre, li vedo correre, i volti distorti dal terrore, e so che è colpa mia. Il varco, questo maledetto varco, l’ho aperto io, con il mio sangue, con la mia stupidità. Il senso di colpa mi stritola, ogni immagine un’accusa che mi fa piegare su me stessa, un gemito spezzato che mi sfugge dalle labbra. Il vuoto dentro di me si spalanca ancora di più, un abisso che mi chiama, e per un momento penso che il Divoratore abbia ragione. Forse arrendermi è l’unico modo per fermare tutto questo.
La mia mano è a un soffio dall’acqua, le dita che tremano mentre il freddo della superficie mi sfiora. Ma poi un suono squarcia la notte, un ululato disperato che porta con sé il mio nome, un grido che mi trafigge come un fulmine. Kael. È lui, da qualche parte nella foresta, la sua voce carica di dolore e urgenza. Mi ritraggo dall’acqua con un rantolo, il cuore che mi martella nel petto, il ciondolo che brucia ancora di più come per punirmi della mia resistenza. Mi guardo intorno, gli occhi spalancati, il respiro corto. La voce del Divoratore ride nella mia mente, un suono basso e gutturale che mi fa rabbrividire. “Non puoi sfuggirmi per sempre,” sussurra, e ogni parola è una promessa di sofferenza. Ma l’ululato di Kael mi ha riportato alla realtà, mi ha ricordato perché sto ancora lottando. Non posso cedere, non ora, non quando lui ha bisogno di me.
Ma non c’è tempo per riprendere fiato. Il lago davanti a me inizia a ribollire, l’acqua che si increspa violentemente come se qualcosa di enorme si stesse sollevando dalle profondità. Un’ombra colossale emerge lentamente, un ammasso di fumo e cenere che si condensa in una forma indefinita, attraversata da innumerevoli occhi rossi che mi fissano con una fame primordiale. Il terrore mi paralizza, un freddo viscerale che mi stringe le viscere mentre il mio respiro si mozza. Gli occhi sembrano scavare dentro di me, vedendo ogni mia paura, ogni mia debolezza. Le gambe mi tremano mentre mi rialzo, scivolando sul fango, le mani che cercano appiglio sul terreno viscido. “No…” sussurro, la voce spezzata, ma non so se sto parlando all’ombra o a me stessa.
La nebbia violacea si chiude intorno a me come una morsa vivente, un vento gelido mi sferza il viso, portando con sé il sussurro del Divoratore che ride della mia resistenza. “Corri, piccola luce,” mi deride, la voce che echeggia nella mia testa. “Ma non c’è luogo dove nasconderti.” Ogni parola è un peso che mi schiaccia, ma mi costringo a muovermi, allontanandomi dalla riva mentre l’ombra nel lago sembra tendere tentacoli di fumo verso di me. Il cuore mi batte così forte che penso possa esplodere, la paura un gusto amaro in bocca, ma un pensiero emerge con chiarezza tra il caos della mia mente: devo trovare Kael. Devo recuperare il Sigillo di Umbra da Dante, devo chiudere il varco prima che sia troppo tardi. Non so come, non so se ne ho la forza, ma so che non posso arrendermi, non ancora.
Corro nella foresta, i rami che mi graffiano le braccia, il terreno che trema sotto i miei piedi come se la terra stessa mi respingesse. La nebbia mi avvolge, densa e appiccicosa, tingendo ogni cosa di un riflesso spettrale. Gli occhi rossi dell’ombra sembrano seguirmi, un’eco del loro sguardo che mi brucia la schiena. Il Divoratore è più vicino che mai, e io non so se posso fermarlo. Ma mentre inciampo tra le radici e il respiro mi brucia nei polmoni, una cosa è certa: non smetterò di lottare, non finché c’è ancora una speranza, non finché Kael è là fuori, da qualche parte, ad aspettarmi.