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Romanzi romantici in un solo posto

reader.chapterFratture nella Tana


Kael

Oscurità e dolore mi avvolgono come una pelliccia troppo stretta, soffocante. Sdraiato su un giaciglio di pelli ruvide nella Tana Segreta del Branco, ogni respiro è una lama che affonda nel petto, dove la ferita fresca pulsa sotto bende intrise di sangue. La luce fioca delle torce danza sulle pareti di roccia, illuminando graffi profondi e antichi, segni di battaglie che il branco ha sempre vinto. Ma non stasera. Stasera, l’aria puzza di pelliccia bagnata e fumo acre, mescolata a qualcosa di più oscuro, più pesante: tensione. La sento strisciare tra i membri del branco, un’ombra che si insinua nei loro occhi, nei ringhi soffocati che echeggiano nella caverna. Mi scrutano, alcuni con preoccupazione, altri con qualcosa di peggio. Dubbio. E io lo sento, come un artiglio che graffia dentro, più profondo di qualsiasi ferita.

Alina. Il suo nome è un ululato nella mia mente, un richiamo che non posso ignorare. È là fuori, sola, con quella nebbia violacea e il Divoratore che le sussurra promesse letali. La vedo nei miei pensieri, i capelli castani sporchi di cenere, gli occhi verdi incavati che riflettono un tormento che non posso raggiungere. Non ancora. Stringo i pugni, le unghie che scavano nella pelle, mentre un gemito mi sfugge dalle labbra. Devo alzarmi. Devo trovarla. Ma il mio corpo mi tradisce, ogni muscolo urla contro il movimento, e la ferita al petto brucia come se un cacciatore mi stesse ancora infilzando con la sua lama runica.

Un ringhio profondo rompe il silenzio, e i miei occhi ambra, opachi per il dolore, si fissano su Torak. Il suo pelo grigio luccica sotto la luce delle torce, le cicatrici di guerra che attraversano il suo muso lo rendono una figura di pura minaccia. Si avvicina, i passi pesanti che rimbombano sul pavimento di roccia, e il branco si zittisce, un cerchio di occhi che ci osserva. “Un alfa ferito non può guidarci,” ringhia, la voce un tuono che scuote la caverna. “Abdica, Kael, o ti strapperò il titolo con gli artigli all’alba.” Ogni parola è un colpo, un’accusa che mi inchioda al giaciglio. Lo guardo, il mio respiro corto che si mescola al suo ringhio, e sento il peso della sua sfida. Non è solo per il potere. È personale. Torak ha sempre aspettato il momento in cui il branco avrebbe visto la mia debolezza, e ora, con il sangue che mi macchia le bende, lo ha trovato.

Stringo i denti, ignorando il fuoco che mi divora il petto, e mi sollevo su un gomito. Il dolore mi fa vedere lampi bianchi, ma non gli darò la soddisfazione di vedermi crollare. “Non lascerò il branco a uno che pensa solo a se stesso,” ringhio a mia volta, la voce spezzata ma feroce. “Sfidami, se hai il coraggio.” Le parole mi costano più di quanto dovrebbero, ogni sillaba un peso che mi schiaccia, ma non abbasso lo sguardo. Non posso. Non con il branco che mi guarda, diviso. Alcuni, i più giovani, abbassano le orecchie, incerti, mentre altri, quelli che seguono Torak, mostrano i denti, un coro silenzioso di disapprovazione. La frattura è reale, tangibile, e mi strappa il cuore più della ferita.

Un’ombra si muove tra i presenti, e Luna si fa avanti, il viso segnato da un graffio fresco che le attraversa la guancia. I suoi occhi azzurri brillano di frustrazione mentre si piazza tra me e Torak, le mani sui fianchi. “Smettetela di azzannarvi tra voi!” sbotta, il tono sarcastico ma tagliente come una lama. “Le ombre ci stanno già cacciando là fuori, e voi volete combattere per un titolo? Pensate ai cuccioli, a chi non può difendersi!” La sua voce riecheggia nella tana, e per un momento, il silenzio cade come un manto. Ha ragione. Lo sappiamo tutti. La foresta non è più casa nostra, non con il varco che si espande, quel ronzio oscuro che sento nelle ossa, eco di un male che non possiamo ignorare. Ma la tensione non si dissolve. Torak socchiude gli occhi, un ringhio basso che gli vibra in gola, mentre alcuni del branco mormorano tra loro, le loro voci un sottofondo di incertezza.

Mi sollevo ulteriormente, ignorando il tremore delle braccia, il sudore che mi brucia gli occhi. Ogni movimento è un’agonia, come se la ferita si riaprisse a ogni respiro, ma non posso restare fermo. Non quando Alina è in pericolo. Non quando il branco ha bisogno di me, anche se metà di loro non ci crede più. La mia mente vacilla, però, scivolando in un luogo che cerco di tenere chiuso. Un ricordo. Un patto. Anni fa, quando ero poco più che un cucciolo con troppo orgoglio, ho fatto un giuramento a un’entità oscura, un’ombra che prometteva salvezza in cambio di un prezzo. Ho pagato quel prezzo con una vita che non potrò mai riavere. E ora, guardandomi intorno, vedendo il dubbio negli occhi del branco, mi chiedo se quel patto non abbia indebolito le barriere tra i mondi. Se non sia colpa mia, in parte, se il Divoratore è così vicino. Se non sia colpa mia se Alina sta soffrendo.

Un tremore scuote la tana, più forte di qualsiasi ringhio, e la polvere cade dal soffitto come una pioggia grigia. Il branco si irrigidisce, alcuni ululano piano, un istinto primordiale che ci unisce per un istante. Il varco. Lo sento, un ronzio che vibra nel terreno, un richiamo che mi dice che il tempo sta finendo. “Devo andare,” mormoro, più a me stesso che agli altri, spingendomi in piedi con una forza che non sapevo di avere. Il dolore mi fa barcollare, ma mi aggrappo alla roccia fredda della parete, il respiro affannoso. Alina. Devo trovarla. Non posso lasciarla affrontare quel lago, quel mostro, da sola.

Torak si avvicina di un passo, bloccandomi il passaggio. Il suo odore, un misto di terra e aggressività, mi colpisce come un pugno. “Non sei in condizione di guidare, Kael,” ringhia, gli occhi che brillano di una luce pericolosa. “Se esci ora, non tornerai. E il branco non può permettersi un alfa che si fa ammazzare per una umana.” La parola “umana” è uno schiaffo, un’accusa che brucia più della ferita. Stringo i pugni, le unghie che si trasformano in artigli per un istante, l’istinto che mi spinge a rispondere con la violenza. Ma non posso. Non ora. Non quando ogni secondo che perdo qui è un secondo in cui Alina potrebbe cadere sotto il richiamo del Divoratore.

Luna si frappone di nuovo, il viso teso ma determinato. “Basta, Torak. Se vuole andare, lascialo. Ma non pensare che questo significhi che hai vinto.” La sua voce è un ringhio basso, e per un momento, Torak esita, il suo sguardo che si sposta tra me e lei. Poi si volta, il pelo grigio che si allontana nella penombra, ma le sue ultime parole aleggiano nell’aria come una minaccia. “All’alba, Kael. Non avrò pietà.”

Un altro tremore scuote la caverna, più violento, e un masso si stacca dal soffitto, frantumandosi a pochi passi da un cucciolo che guaisce di paura. Il branco si muove, istintivamente, proteggendo i più deboli, ma la paura è palpabile. Mi passo una mano sul viso, il sudore mescolato al sangue secco, e guardo Luna. I suoi occhi mi dicono tutto: è con me, nonostante tutto. Ma per quanto? E gli altri? Mi raddrizzo, ignorando il dolore che mi squarcia il petto, e faccio un passo avanti, il primo verso l’uscita della tana. “Devo trovarla,” sussurro, un giuramento che pesa come una catena. Alina. Il suo viso, il suo profumo di terra e sogni spezzati, è l’unica cosa che mi tiene in piedi. Non so se avrò la forza di affrontare Torak all’alba, o di combattere le ombre là fuori. Ma so che non posso lasciarla cadere. Non di nuovo. Non come ho fatto con chi ho perso anni fa.

Il ronzio del varco si fa più forte, un conto alla rovescia che mi batte nelle tempie, e mentre mi muovo verso l’uscita, il branco mi guarda in silenzio. Alcuni con rispetto. Altri con disprezzo. Ma non mi importa. Ogni passo è una lotta, ogni respiro una promessa. Troverò Alina. O morirò provandoci.