reader.chapter — Segreti nella Nebbia
Giulia
Un silenzio soffocante avvolge la Biblioteca Comunale Dimenticata, rotto solo dal crepitio irregolare della lampada a olio che getta una luce tremolante sugli scaffali polverosi. Seduta a un tavolo ingombro di libri antichi, stringo tra le mani un manoscritto che sembra pesare più di quanto le sue pagine ingiallite dovrebbero. La luce fioca illumina appena il mio volto, evidenziando le occhiaie che mi segnano gli occhi, mentre un freddo innaturale mi penetra nelle ossa, facendomi rabbrividire sotto il maglione oversize. Le parole scritte a mano, sbiadite dal tempo, parlano di un sacrificio umano per chiudere il varco – un “cuore offerto volontariamente” – e ogni sillaba mi stringe il petto come una morsa. Il cuore mi martella nelle orecchie, un tamburo che non riesco a zittire, mentre le dita tremano nel voltare una pagina che scricchiola come un lamento.
“Non può essere vero,” sussurro tra me e me, ma la voce mi esce spezzata, quasi strozzata. Le immagini di Alina, sola chissà dove in quella maledetta foresta, mi tormentano. La vedo con gli occhi verdi incavati, i capelli sporchi di cenere, persa in un luogo che non capisco ma che so essere letale. Sfoglio freneticamente il manoscritto, cercando un’alternativa, un qualsiasi spiraglio che non significhi perdere qualcuno. Ogni parola sembra un macigno che mi schiaccia, ma non posso fermarmi. Non ora. Non quando lei ha bisogno di me. Annoto frammenti su un quaderno con mani che non sembrano nemmeno le mie, l’inchiostro che macchia la pagina mentre scrivo di rituali oscuri e di un’entità chiamata Divoratore di Mondi. Il nome stesso mi fa venire la pelle d’oca, come se pronunciare quelle sillabe potesse evocarlo qui, in questa stanza dimenticata da tutti.
Un fruscio improvviso tra gli scaffali mi fa sobbalzare, il cuore che salta in gola. Mi guardo intorno, gli occhi che scandagliano le ombre violacee che danzano agli angoli della stanza. “Chi c’è?” bisbiglio, ma non risponde nessuno, solo il silenzio che sembra farsi più pesante, come se mi stesse spiando. La lampada vacilla, gettando un riflesso inquietante su una finestra crepata, e per un istante mi pare di vedere un’ombra oltre il vetro, una figura indistinta avvolta dalla nebbia violacea che soffoca il Borgo di Pietraluna. Il fiato mi si mozza, e con un gesto rapido infilo il manoscritto sotto la giacca, il bordo ruvido che mi graffia la pelle. È un abitante del borgo? Un cacciatore? O peggio? La paura mi paralizza, un gelo che non ha nulla a che fare con l’aria umida della biblioteca. Ma il pensiero di Alina mi scuote. Non posso permettermi di crollare. Devo fare qualcosa.
Mi alzo con le gambe che tremano, afferrando la borsa di tela dove infilo il quaderno e una piccola torcia che ho trovato in un cassetto. La decisione mi brucia dentro come una fiamma: devo andare alla Vecchia Chiesa Sconsacrata. Le storie del borgo, quelle che raccontavano gli anziani davanti al camino, parlano di quel posto come di un rifugio di segreti, un luogo dove antichi guardiani avrebbero lasciato tracce di un sapere proibito. Se c’è una possibilità, anche minima, di trovare un modo per chiudere il varco senza sacrifici, è lì che devo cercare. Mi avvolgo in un cappotto sgualcito, il tessuto che odora di polvere e paura, e lancio un’ultima occhiata alla biblioteca, un misto di rimpianto e terrore che mi stringe lo stomaco. E se non tornassi? Scaccio il pensiero, stringendo i denti. Non ho scelta.
Fuori, la nebbia violacea mi accoglie come una morsa, trasformando i vicoli del borgo in un labirinto di ombre che sembrano vive. Ogni passo sulle strade acciottolate echeggia come un tradimento, un suono che mi fa trasalire mentre stringo la borsa contro il petto. Le rune incise sui muri da quei dannati cacciatori pulsano con un ronzio inquietante, un’energia che mi fa accapponare la pelle. Mi muovo con cautela, il fiato che si condensa in nuvolette bianche nell’aria gelida, e sento occhi invisibili che mi seguono, un peso che mi schiaccia le spalle. Passo accanto a una finestra barricata, e un sussurro di paura mi raggiunge dall’interno, un lamento soffocato che parla di ombre viste nella nebbia, di ululati che annunciano la fine. Stringo il manoscritto sotto la giacca, il suo peso che sembra aumentare a ogni istante, come se portassi con me un destino che non sono pronta a affrontare.
Non mi accorgo della figura che mi segue a distanza, un cacciatore mandato da Dante, i suoi passi silenziosi sulle pietre umide. I suoi occhi freddi mi scrutano dalla nebbia, vedendo in me una chiave per arrivare ad Alina, una pedina in un gioco che non comprendo. Il suo respiro è nascosto dal vento gelido, ma la sua presenza è un’ombra che si aggiunge alle altre, un pericolo che mi sfugge mentre avanzo con il cuore in gola.
Un ululato lontano squarcia il silenzio, un suono che mi fa rabbrividire fino al midollo. È Kael? O qualcos’altro? Il ronzio del varco, un’eco profonda che sembra vibrare nelle mie ossa, si fa più forte, un avvertimento che mi stringe il petto. Mi fermo un istante vicino a un vicolo, il respiro accelerato, quando un’ombra con occhi rossi appare fugacemente nella nebbia, un lampo che mi gela il sangue. Non c’è tempo per pensare. Il terrore mi spinge a correre, i piedi che scivolano sul selciato umido mentre mi dirigo verso la periferia del borgo, verso la Vecchia Chiesa Sconsacrata. La nebbia mi avvolge come un sudario, il gelo che mi morde la pelle, e ogni ramo che sporge dalle mura basse sembra un artiglio pronto ad afferrarmi.
Non vedo nulla dietro di me, solo ombre che danzano nella nebbia, ma il senso di essere seguita mi soffoca. Mi volto un istante, il volto segnato dal terrore, cercando un segno, un movimento, qualsiasi cosa. Ma c’è solo il vuoto violaceo, un’oscurità che sembra ridere della mia paura. Ignara del cacciatore che si muove con passi felpati alle mie spalle, stringo la borsa con più forza, il manoscritto sotto la giacca che brucia come un segreto troppo grande da portare. “Devo trovarla, devo aiutarla… prima che sia troppo tardi,” sussurro tra me e me, la voce che trema mentre accelero il passo, diretta verso la chiesa. L’ululato si ripete, più vicino stavolta, e il ronzio del varco mi scuote come un tamburo di guerra. La nebbia si chiude intorno a me, un abbraccio gelido che promette solo oscurità, e io corro, spinta da una disperazione che non lascia spazio a nient’altro.