reader.chapter — Sangue all’Alba
Lea Voss
Un’alba rossa si insinuava tra i rami contorti del Bosco Sussurrante, tingendo il sottobosco di un bagliore sanguigno che sembrava presagire morte. Mi svegliai di soprassalto, il cuore che martellava come un tamburo di guerra, il corpo scosso da un gelo che non aveva nulla a che fare con l’aria umida della foresta. Era il Sangue d’Argento, quel potere maledetto che mi scorreva nelle vene, mordendomi le ossa come un lupo affamato. Stringevo tra le mani il Cuore della Luna, il cristallo scarlatto che avevamo recuperato nel Tempio, e il suo pulsare debole mi ricordava quanto fosse fragile la speranza che portava. La mia mente era ancora intrappolata nell’incubo, un’eco di ombre e cenere che mi perseguitava anche ora, con gli occhi aperti. Mi ero vista come la Regina della Luna, una figura di puro potere, ma priva di umanità, il volto freddo come il ghiaccio nero delle Montagne di Ombra. E Kyle… Kyle si era dissolto davanti a me, il suo corpo forte ridotto a cenere sotto un cielo senza stelle, i suoi occhi grigio tempesta che mi imploravano di tornare indietro prima che fosse troppo tardi.
Un brivido mi percorse la schiena, più freddo del vento che si insinuava tra gli alberi. La nebbia densa avvolgeva il nostro accampamento ai margini del Bosco, un sudario grigio che soffocava ogni suono, come se la foresta stessa trattenesse il fiato, in attesa di qualcosa di terribile. Mi tirai su, le mani che tremavano mentre infilavo il cristallo nella tasca del mio giubbotto. Il ciondolo d’argento, l’eredità di mia nonna Greta, pendeva pesante al mio collo, la sua superficie gelida che bruciava contro la pelle. Ogni movimento mi costava fatica; il pallore del mio viso, che intravedevo riflesso in una pozza d’acqua vicina, era innaturale, quasi spettrale, e le occhiaie scavate sotto i miei occhi verdi raccontavano di notti senza riposo e di un potere che mi stava lentamente divorando.
Accanto a me, Kyle era seduto su un tronco caduto, le spalle larghe piegate sotto il peso di ferite che non avevano avuto il tempo di guarire. La sua giacca di pelle nera era intrisa di sangue secco, un taglio profondo sul fianco visibile attraverso uno strappo nel tessuto. Un altro graffio, sopra il sopracciglio destro, si aggiungeva alla cicatrice che già gli segnava il volto, ma erano i suoi occhi a colpirmi di più. Grigio tempesta, come sempre, ma ora carichi di una preoccupazione che non riusciva a nascondere, non da me. I suoi capelli neri, spettinati, gli cadevano sulla fronte, e per un istante desiderai passarci le dita, scacciare quel peso che vedevo gravare su di lui. Ma non potevo. Non ora. Non quando sentivo ancora l’eco della visione, la paura che tutto ciò che avevamo costruito potesse davvero dissolversi in cenere.
“Stai bene?” La sua voce profonda ruppe il silenzio, un misto di autorità e qualcosa di più morbido, qualcosa che riservava solo a me. Mi guardò, e per un momento il mondo si ridusse a quel contatto, i nostri sguardi che si intrecciavano come radici sotto la terra. Sentii il calore risalire lungo il collo, un contrasto doloroso con il gelo che mi stringeva il cuore, ma distolsi gli occhi, serrando la mascella.
“Sto bene,” mentii, la mia voce più dura di quanto intendessi. Non potevo dirgli della visione, non ancora. Non potevo sopportare l’idea di vedere la paura nei suoi occhi, o peggio, la sua determinazione a proteggermi a costo di sé stesso. Le mie mani si strinsero a pugno, le unghie che affondavano nei palmi mentre cercavo di soffocare il tumulto dentro di me. Dovevo essere forte. Dovevo essere la curatrice che il branco aveva bisogno che fossi, anche se ogni passo mi avvicinava a un confine che temevo di non poter tornare indietro.
Non ebbi il tempo di dire altro. Un ululato inquietante squarciò l’aria, un suono che sembrava provenire da ogni direzione, un lamento primordiale che fece rizzare i peli sulla mia nuca. Gli alberi intorno a noi parvero tremare, le rune pulsanti incise nelle loro cortecce che sembravano brillare per un istante sotto la luce rossa dell’alba. Un beta di guardia, un giovane con gli occhi color ambra pieni di terrore, corse verso di noi, il volto teso e il respiro corto. “Sono tornati!” gridò, la voce che si spezzava per la paura. “I ribelli di Erich… e c’è qualcosa con loro. Un’ombra… non è naturale!”
Il mio cuore si fermò per un istante, il gelo del Sangue d’Argento che si intensificava, come se rispondesse alla minaccia. Erich Stahl. Il suo nome era un veleno sulla mia lingua, un’ombra che ci inseguiva da troppo tempo. Dopo la battaglia nel Tempio, avevo sperato che fosse finito, che il suo odio per me e per il potere che rappresentavo fosse stato spezzato. Ma sapevo che era una speranza vana. E quell’ombra innaturale di cui parlava il beta… sentii un brivido diverso, più profondo, come se qualcosa di antico e oscuro ci stesse osservando da oltre la nebbia.
Kyle si alzò di scatto, ignorando il dolore che gli attraversò il volto mentre si muoveva. “Raduna i beta,” ordinò, la sua voce un ringhio basso, il tono di un alfa che non ammetteva esitazioni. Ma potevo vedere il modo in cui stringeva i denti, il modo in cui la sua mano si posava istintivamente sul fianco ferito. Era debole, più debole di quanto volesse ammettere, e quella consapevolezza mi strinse il petto come una morsa.
Mi alzai anch’io, il ciondolo che bruciava gelido contro la mia pelle, un monito del potere che portavo e del prezzo che esigeva. I miei occhi incontrarono quelli di Kyle per un istante, e in quel momento vidi tutto ciò che non potevamo dirci: la paura, il bisogno, il desiderio che ribolliva sotto la superficie come un fuoco che non potevamo spegnere. Ma non c’era tempo per noi, non ora. Stringendo il Cuore della Luna nella tasca, sentii la sua pulsazione debole, un richiamo che mi spingeva verso le Montagne di Ombra, dove avevo visto il secondo cristallo nella mia visione: il Cuore di Mezzanotte. Era la chiave, lo sapevo. La chiave per spezzare la maledizione, per salvare Kyle, per salvare tutti noi… o per perderci per sempre.
“Dobbiamo muoverci,” dissi, la mia voce che oscillava tra insicurezza e un’autorità che stavo ancora imparando a reclamare. “Verso le Montagne di Ombra. Ora. Non possiamo aspettare che ci trovino.” Le parole erano dure, taglienti come il vento che ci sferzava il viso, ma dentro di me tremavo. Ogni utilizzo del Sangue d’Argento mi svuotava, lasciandomi più vicina a quella figura inumana della mia visione. E se avessi perso me stessa lungo la strada? E se avessi perso lui?
Kyle annuì, i suoi occhi che si socchiudevano mentre scrutava la nebbia, come se potesse vedere i ribelli e la loro ombra innaturale oltre il velo grigio. “Hai ragione,” mormorò, e per un istante la sua mano sfiorò la mia, un contatto fugace che mandò una scarica di calore attraverso il gelo che mi abitava. Ma si ritrasse subito, il volto che si induriva mentre si voltava verso il branco. “Muovetevi! Non abbiamo tempo da perdere!”
I beta si affrettarono a raccogliere le poche cose che avevamo, i loro movimenti tesi, gli occhi che guizzavano verso ogni ombra tra gli alberi. La nebbia ci avvolgeva come un sudario, soffocando ogni suono tranne il battito del mio cuore, che sembrava troppo forte, troppo umano in un luogo che odorava di sangue e cenere. Stringevo il ciondolo d’argento con una mano, il Cuore della Luna con l’altra, il gelo che mi bruciava la pelle mentre guardavo Kyle un’ultima volta prima di distogliere lo sguardo. La tensione tra noi era un filo teso, pronto a spezzarsi, un misto di paura per ciò che ci aspettava e un desiderio che non potevamo permetterci di riconoscere. Non ancora.
“Non c’è tempo da perdere,” dissi, le parole che uscivano con una durezza nuova, un’eco della curatrice che stavo diventando, nonostante tutto. “O sarà troppo tardi per tutti.”