reader.chapter — Ombre nella Foresta
Alina
Un vento gelido mi colpisce il viso non appena metto piede fuori dalla Cripta delle Lamentazioni, portando con sé un fetore di cenere e decomposizione che mi stringe la gola. La nebbia violacea si chiude intorno a noi come un sudario, così densa da soffocare ogni traccia di luce, trasformando il mondo in un incubo sfocato. Stringo il Sigillo di Umbra con una mano tremante, il metallo gelido che brucia la carne del mio palmo infiammato, ogni pulsazione un’eco del ronzio profondo che sembra seguirci, vibrando nelle mie ossa come un lamento che non vuole tacere. Non sono sola, lo so—il rantolo spezzato di Kael, qualche passo dietro di me, e il ringhio basso di Luna mi ricordano che siamo ancora insieme. Ma in questo momento, con il terreno fangoso che cede sotto i miei piedi e il freddo che mi morde la pelle attraverso i vestiti stracciati, mi sento isolata, persa in un abisso che non è solo fuori, ma dentro di me.
“Attenta dove metti i piedi,” ringhia Luna, la voce tesa mentre guida il branco davanti a noi. I suoi occhi azzurri scrutano la nebbia, il corpo rigido, pronto a scattare. I lupi più giovani si stringono a lei, le orecchie basse, mentre Rivo, con la ferita ancora fresca, zoppica ma tiene il passo. Non riesco a rispondere; la mia gola è secca, bruciata dal veleno della nebbia che mi pizzica i polmoni ad ogni respiro. Mi concentro su Kael, il suo peso che si appoggia a me mentre Luna lo sostiene dall’altro lato. La sua pelle è gelida sotto le mie dita, il respiro un sibilo rantolante che mi trafigge il cuore. Ogni suo passo è un’agonia, lo vedo nei suoi occhi ambra, opachi e velati dal dolore, ma non si lamenta. Non può permetterselo. Nessuno di noi può.
“Non ti fermare,” sussurra, la voce così debole che quasi si perde nel vento. Le sue parole sono un coltello, un promemoria di quanto poco tempo ci resta. Lo guardo, il viso sporco di sangue e fango, le bende al petto intrise di rosso fresco, e sento una stretta al petto che non ha nulla a che fare con la nebbia. “Non ti lascio,” rispondo, la voce tremula, una promessa che pesa come un macigno. Non so se posso mantenerla, ma lo dico lo stesso, perché devo crederci. Perché lui deve crederci.
La Foresta di Selvoscuro si chiude su di noi come una creatura viva, i rami contorti delle querce che si protendono come artigli, sfiorando i nostri volti con un tocco gelido e umido. Ogni passo è una lotta: il terreno è un pantano che risucchia gli stivali, e le felci, intrise di un’umidità appiccicosa, si aggrappano alle gambe come mani invisibili. L’aria puzza di terra marcia e di qualcosa di più oscuro, un odore metallico che mi fa rivoltare lo stomaco. Non c’è luce qui, solo un’eterna penombra tinta di viola, e il ronzio del varco—quel suono maledetto che non mi lascia mai—si intreccia a sussurri spettrali che sembrano emergere dalla nebbia stessa. “Arrenditi, Alina,” mormora una voce nella mia mente, seducente e velenosa, facendomi rabbrividire. È il Divoratore. Lo so. Lo sento nel vuoto che cresce dentro di me, un buco nero che si spalanca ad ogni suo sussurro, pronto a inghiottirmi.
Una visione mi colpisce come un pugno, improvvisa e brutale. Vedo me stessa, in piedi sull’altare della Cripta, il Sigillo che brilla di una luce argentea mentre il portale si chiude. Ma non sono io a vincere—sono vuota, gli occhi neri come l’inchiostro, la pelle screpolata da vene viola. Il Divoratore ride, la sua voce un tuono nella mia testa, e io cado in ginocchio, lasciando che i tentacoli di fumo mi avvolgano. “Pace,” promette. “Basta solo cedere.” Scuoto la testa con violenza, stringendo il Sigillo così forte che il dolore mi riporta alla realtà, ma il terreno sotto di me sembra sparire per un istante. Inciampo, il cuore che martella, e solo la presa di Kael mi impedisce di cadere nel fango.
“Alina!” La voce di Giulia mi raggiunge, spezzata dal terrore. È qualche passo indietro, con Elisa al suo fianco, la borsa di tela stretta al petto come se potesse proteggerla. I suoi capelli rossi sono appiattiti dalla pioggia incessante, il viso pallido e rigato di lacrime o gocce, non lo capisco. “Stai bene?” chiede, ma non ho la forza di rispondere. Mi limito a un cenno, anche se non sto bene. Non sto bene da giorni, forse da sempre. Elisa non parla, il suo sguardo fisso su di me, carico di un rimorso che non voglio vedere. Non ora. Non posso affrontare anche questo.
La foresta non ci dà tregua. Ogni fruscio, ogni scricchiolio di un ramo spezzato ci fa sobbalzare, i nervi tesi come corde di violino. “Sento qualcosa,” ringhia Luna, fermandosi di colpo. Il branco si immobilizza, le orecchie puntate, i muscoli tesi. Mi blocco anch’io, il cuore in gola, mentre cerco di penetrare la nebbia con lo sguardo. È impossibile vedere oltre pochi metri, ma lo sento—un movimento, un’ombra che non appartiene agli alberi. “Occhi aperti,” aggiunge Luna, la voce un sibilo basso, mentre si posiziona davanti ai cuccioli. Kael cerca di alzarsi, un gemito di dolore che gli sfugge mentre si stacca da me, ma ricade subito, il respiro affannoso. “Non muoverti,” gli dico, la voce più dura di quanto vorrei, ma la paura mi stringe le viscere. E se fosse Torak? O i cacciatori di Dante, con le loro rune e i loro pugnali? Non siamo pronti per un altro scontro. Non ora.
Giulia si avvicina, le mani che tremano mentre stringe il manoscritto nella borsa. “Dobbiamo raggiungere Pietraluna presto,” balbetta, gli occhi che saettano tra gli alberi. “Se c’è una cripta lì, se c’è davvero un modo per chiudere il varco…” Non finisce la frase, ma non ce n’è bisogno. Lo sappiamo tutti. Pietraluna è la nostra unica speranza, un barlume tenue in questo incubo, ma ogni passo verso quel borgo sembra un passo verso qualcosa di più oscuro. Qualcosa che mi chiama, che mi vuole. Il Sigillo pulsa nella mia mano, un battito che si sincronizza con il ronzio del varco, e per un attimo ho l’impressione che la foresta stessa lo stia ascoltando, che stia aspettando di vedere se cederò.
Non posso cedere. Non voglio. Ma il vuoto dentro di me si espande, un freddo che non ha nulla a che fare con la pioggia o la nebbia. È come se il Divoratore fosse già qui, un’ombra che si insinua nei miei pensieri, nelle mie paure. Stringo i denti, ignorando il bruciore nel palmo, e aiuto Kael a rimettersi in piedi, il suo peso un’ancora che mi tiene ancorata a questa realtà. “Ce la faremo,” mormoro, più a me stessa che a lui, ma il dubbio mi rode. Quanto tempo ci resta? Quanto tempo ho prima che il Sigillo, o il Divoratore, o il mio stesso corpo mi tradiscano del tutto?
Dopo quella che sembra un’eternità, troviamo un ruscello fangoso, le sue acque nere che riflettono lampi viola nel cielo sopra di noi. Ci fermiamo, solo per un momento, per permettere a Kael di riprendere fiato. Mi inginocchio accanto a lui, pulendo il sangue fresco dalle sue bende con mani tremanti, il cuore che si stringe a ogni suo rantolo. I nostri sguardi si incontrano, un silenzio carico di paura e determinazione che dice più di qualsiasi parola. La nebbia violacea si addensa ancora, avvolgendoci come un abbraccio mortale, e un ululato lontano—lo stesso suono ambiguo che ho sentito nella Cripta—echeggia tra gli alberi, facendomi rabbrividire. Chi o cosa ci sta inseguendo? Non lo so, e non voglio saperlo. Non ancora.
Mi rialzo, il Sigillo che pulsa dolorosamente nella mia mano, sapendo che dobbiamo proseguire verso Pietraluna, anche se ogni passo sembra portarci più vicini a un abisso inevitabile. Non so se ce la faremo, ma non mi fermerò. Non ora. Non per lui.