reader.chapter — Il Marchio della Mezzaluna
Lea Voss
Una quiete inquietante si era posata su Villa Voss, come il silenzio che precede un temporale. Ero seduta al tavolo polveroso della sala principale, le dita che tremavano mentre sfogliavo il diario di nonna Greta. La luce fioca della candela danzava sulle pagine ingiallite, illuminando simboli che sembravano pulsare sotto il mio sguardo, come se volessero parlarmi. Il ciondolo d’argento al mio collo vibrava leggermente, un calore sottile che mi faceva rabbrividire. Ogni volta che lo toccavo, sentivo un’eco di qualcosa di antico, qualcosa che non riuscivo ancora a comprendere. Fuori, la notte era densa, la nebbia che premeva contro le finestre come un velo soffocante.
Un’improvvisa folata di vento fece tremare i vetri, un gemito che sembrava provenire dalle viscere della villa stessa. Mi irrigidii, il cuore che accelerava. Poi, un rumore di passi pesanti risuonò dal portone d’ingresso, un ritmo deciso che spezzò il silenzio. Mi alzai di scatto, la sedia che grattava contro il pavimento di pietra, mentre un’ombra massiccia si delineava sulla soglia. La porta si aprì con un cigolio, e lì c’era lui. Kyle Draegon. I suoi capelli neri erano spettinati, gli occhi grigio tempesta che mi inchiodavano con un’intensità che mi fece quasi indietreggiare. La cicatrice sopra il sopracciglio destro sembrava più marcata sotto la luce tremolante, e la sua giacca di pelle nera luccicava di umidità, come se avesse attraversato la foresta sotto un cielo pronto a spezzarsi.
“Cosa ci fai qui?” La mia voce uscì più incerta di quanto volessi, ma tenni il mento alzato. Non gli avrei mostrato paura, non di nuovo.
Kyle non rispose subito. Fece un passo avanti, chiudendo la porta dietro di sé con un tonfo che riecheggiò nella sala. L’odore di terra bagnata e bosco selvaggio lo seguiva, un profumo che mi fece stringere lo stomaco in un modo che non volevo analizzare. “Dobbiamo parlare, Lea. E non c’è tempo per i tuoi giochetti.” La sua voce era profonda, un ringhio basso che vibrava nell’aria. “Quello che sei… quello che potresti diventare… è un pericolo. Per te. Per tutti noi.”
Strinsi il ciondolo tra le dita, il metallo caldo contro la pelle. “Non so di cosa stai parlando. E non sono un problema da risolvere. Questa è casa mia. Se hai qualcosa da dire, fallo. Altrimenti, vattene.”
Un sorriso amaro gli sfiorò le labbra, ma non raggiunse gli occhi. “Non capisci il fuoco con cui stai giocando, piccola. Ma lo farai. E quando succederà, potrebbe essere troppo tardi.” Indicò il mio collo, il suo sguardo che si fissava sul ciondolo. “Quello che porti… il tuo sangue… è una chiave. O una rovina. E io sono qui per spezzare quel legame prima che ci distrugga.”
“Spezzare cosa?” La frustrazione mi ribolliva dentro, mescolata a una paura che non volevo ammettere. “Parli per enigmi. Cosa sono per te? Una minaccia? Un giocattolo da controllare?”
I suoi occhi si socchiusero, e per un istante pensai che avrebbe ringhiato. Invece, avanzò di un altro passo, la sua presenza che sembrava riempire la stanza. “Non sei un giocattolo. Sei un peso. E un rischio che non posso ignorare.” Fece una pausa, il suo sguardo che si ammorbidiva appena, abbastanza da farmi intravedere qualcosa di simile alla preoccupazione. “C’è un rituale. Un modo per liberarti dal marchio che ti lega a noi. Ma devi fidarti di me. Solo per stanotte.”
Fidarmi di lui? Ogni istinto gridava di no. Eppure, c’era una parte di me, profonda e selvaggia, che si protendeva verso quelle parole, verso di lui. Il diario di Greta era ancora aperto sul tavolo, le sue pagine che sembravano sussurrarmi di accettare, di cercare risposte. “E se dico di no?” chiesi, la voce più bassa, quasi un sussurro.
Kyle inclinò la testa, un movimento predatorio che mi fece accelerare il battito. “Non hai scelta. Non davvero. Più aspetti, più il tuo sangue ti chiamerà. E allora non sarò in grado di fermare ciò che verrà.”
Deglutii a fatica, le sue parole che si insinuavano sotto la pelle come spine. Guardai il diario, poi di nuovo lui. “Va bene. Ma se questo è un trucco, giuro che te ne pentirai.”
Non rispose, ma un lampo di qualcosa – rispetto, forse – attraversò i suoi occhi. “Seguimi. Non abbiamo molto tempo.” Si diresse verso il centro della sala, dove il pavimento di pietra era segnato da crepe che sembravano quasi formare un cerchio. Estrasse dalla tasca interna della giacca un piccolo sacchetto di cuoio, versandone il contenuto – erbe secche e frammenti di qualcosa che sembrava osso – al centro del cerchio. L’odore acre mi colpì, facendomi stringere il naso.
“Cos’è questo?” chiesi, incrociando le braccia mentre lo osservavo accendere un rametto con un accendino e lasciarlo bruciare insieme alle erbe. Il fumo si alzò in spirali lente, denso e pungente.
“Un’offerta,” rispose senza guardarmi, la voce tesa. “Per la luna. Per spezzare il legame del Sangue d’Argento prima che ti reclami del tutto. Mettiti qui.” Indicò un punto accanto a lui, dentro il cerchio.
Esitai, il cuore che martellava come un tamburo. La villa sembrava osservarci, le pareti che scricchiolavano in un lamento sommesso. Ma qualcosa dentro di me – forse curiosità, forse follia – mi spinse a obbedire. Mi misi al suo fianco, il calore del suo corpo che mi sfiorava anche senza contatto fisico. “E adesso?” chiesi, la voce più incerta di quanto volessi.
Kyle mi guardò, i suoi occhi che sembravano scavarmi dentro. “Dammi la mano.” La sua voce era un ordine, ma c’era una nota di urgenza che mi fece rabbrividire. Gli porsi la mano, le dita che tremavano mentre le sue, ruvide e calde, si chiudevano intorno al mio polso. Un brivido mi attraversò, elettrico e pericoloso, mentre lui iniziava a mormorare parole in una lingua che non conoscevo, un canto basso che sembrava vibrare nelle pietre sotto di noi.
Il fumo delle erbe si fece più denso, avvolgendoci come un velo. Il ciondolo al mio collo si scaldò, quasi bruciando, e un’ondata di energia mi colpì, selvaggia e primordiale. Mi sfuggì un respiro spezzato mentre sentivo qualcosa dentro di me risvegliarsi, un potere che non capivo ma che mi spaventava e mi attirava allo stesso tempo. Gli occhi di Kyle si socchiusero, il suo volto teso, come se stesse lottando contro qualcosa di invisibile. “Resisti,” ringhiò, la stretta sul mio polso che si intensificava.
Ma poi qualcosa andò storto. Un’energia oscura, tagliente come una lama, si insinuò nel cerchio. Il fumo si tinse di un rosso innaturale, e un dolore acuto mi trafisse il polso, facendomi gridare. Kyle imprecò sottovoce, lasciandomi andare mentre anche lui si portava una mano al polso, il volto contorto in una smorfia. Il pavimento sotto di noi tremò, un rombo profondo che fece cadere polvere dal soffitto. La villa sembrava disapprovare, le pareti che gemevano come se fossero vive.
Quando il fumo si dissipò, abbassai lo sguardo. Sul mio polso sinistro c’era una cicatrice, fresca e pulsante, a forma di mezzaluna. Brillava debolmente, un marchio che sembrava vivo. Guardai Kyle, e lui sollevò il braccio, mostrando lo stesso segno, identico, inciso sulla sua pelle abbronzata. Il suo sguardo incontrò il mio, un misto di shock e qualcosa di più profondo, qualcosa che mi fece stringere lo stomaco.
“Cosa… cosa significa questo?” La mia voce era un sussurro, il dolore che si trasformava in un calore strano, quasi intimo, che sembrava connettermi a lui. Sentivo il battito del suo cuore, o forse era il mio, che pulsava nella cicatrice.
Kyle si avvicinò, troppo vicino. Il suo respiro mi sfiorò il collo, caldo e ruvido, mandandomi un brivido lungo la schiena. “Non lo so,” ammise, la voce bassa, quasi un ringhio. “Ma non era previsto. Questo… ci lega. Più di quanto dovremmo essere.” I suoi occhi cercarono i miei, e per un istante il mondo si ridusse a quello spazio tra di noi, a quel calore che mi attirava verso di lui anche mentre ogni istinto gridava di allontanarmi.
Indietreggiai, il cuore che martellava, cercando di ignorare il modo in cui il suo profumo – terra, cuoio, selvaggio – mi avvolgeva. “Non voglio essere legata a te. O a chiunque altro,” dissi, ma le parole suonavano deboli persino a me stessa.
Kyle non rispose subito. Si passò una mano tra i capelli, la mascella tesa, poi si voltò verso la porta. “Capirò cosa significa questa unione,” disse, la voce carica di una promessa che sembrava più una minaccia. “E ti proteggerò, Lea. Anche da te stessa, se necessario.” Fece un passo verso l’uscita, poi si fermò, guardandomi un’ultima volta. “Non ignorare quello che senti. Non puoi scappare da questo.”
E poi se ne andò, la porta che si chiudeva dietro di lui con un tonfo sordo. Rimasi sola nella sala, il silenzio che tornava a pesare come un macigno. Mi portai una mano al polso, fissando la cicatrice a mezzaluna. Pulsava, un bagliore tenue che sembrava rispondere al battito del mio cuore. Un sussurro incomprensibile riecheggiò nella villa, un suono che sembrava provenire dalle pareti stesse, come un ammonimento che non potevo ignorare.
Mi sedetti di nuovo al tavolo, le gambe che tremavano, il diario di Greta ancora aperto davanti a me. Ma non riuscivo a leggere, non con quella cicatrice che bruciava sulla mia pelle, un promemoria costante di qualcosa che non capivo. La candela sfarfallò, proiettando ombre che danzavano sulle pareti, e per la prima volta sentii che Villa Voss non era solo un guscio vuoto. Era viva, e mi osservava. Aspettando.