reader.chapter — Rifugio tra le Pagine
Alina
Un vento freddo pizzicava la pelle di Alina mentre camminava lungo i vicoli di Pietraluna, avvolta nella nebbia dell’alba che sembrava appiccicarsi ai suoi abiti come un respiro gelido. Il ciondolo al collo, freddo contro la sua pelle, sembrava pesare più del solito, un’ancora invisibile che la teneva legata a qualcosa che non riusciva a comprendere. La sua mente era ancora intrappolata nel sogno della notte precedente – la foresta, gli occhi di brace dei lupi, l’altare illuminato da una luna irreale – e nel silenzio tagliente che era calato durante la cena con sua madre. Le parole non dette di Elisa, il suo sguardo duro e pieno di segreti, le bruciavano ancora dentro. Ogni passo verso la Biblioteca Comunale Dimenticata sembrava un tentativo di sfuggire a quella casa soffocante, anche se sapeva che non avrebbe trovato pace così facilmente.
Le campane lontane della torre suonavano deboli, quasi soffocate dall’umidità, mentre l’odore di terra bagnata e pane appena sfornato le pizzicava le narici. Il borgo era ancora addormentato, le finestre socchiuse come occhi guardinghi che la osservavano passare. Quando finalmente raggiunse la biblioteca, un edificio decrepito che sembrava sprofondare nel terreno sotto il peso dei suoi stessi segreti, spinse la porta scrostata con un cigolio che echeggiò nel silenzio. L’interno la accolse con un abbraccio di polvere e quiete, la luce fioca che filtrava dalle finestre incrinate danzava sugli scaffali carichi di libri antichi. L’odore di carta vecchia e inchiostro sbiadito le riempì i polmoni, un balsamo per i suoi nervi tesi. Questo posto, con le sue ombre e i suoi sussurri di storie dimenticate, era l’unico rifugio che le restava.
“Alina! Sembri un fantasma, cosa ti è successo?” La voce allegra di Giulia ruppe il silenzio, facendola sobbalzare. La sua migliore amica era dietro il bancone, i ricci rossi che spuntavano da una sciarpa colorata, un sorriso caldo che contrastava con l’atmosfera malinconica della stanza. Prima che Alina potesse rispondere, Giulia le corse incontro, avvolgendola in un abbraccio che odorava di lavanda e carta. “Non dirmi che hai passato un’altra notte a fissare il soffitto.”
Alina abbozzò un sorriso, ma il peso sul suo petto non si alleggerì. “Non proprio. Ho fatto un sogno… uno di quelli che non riesco a scrollarmi di dosso.” Si sedette su una sedia scricchiolante, le mani che si chiudevano istintivamente intorno al ciondolo. Sentiva ancora la vibrazione del sogno, quella luce argentea che sembrava chiamare il suo nome. “E poi la mamma… non capisco perché deve sempre chiudersi così. Non mi parla, Giulia. Non mi dice niente.”
Giulia si accigliò, posando un libro che stava sfogliando e avvicinandosi. “Che vuoi dire? È successo qualcosa ieri sera?” Il suo tono era morbido, ma gli occhi marroni brillavano di preoccupazione mentre si appoggiava al bordo di un tavolo, incrociando le braccia.
“Ho provato a raccontarle del sogno. Ero nella foresta, inseguita da… non so, qualcosa con occhi di fuoco. E c’era un altare, di pietra, che sembrava vivo. Il ciondolo bruciava, come se volesse dirmi qualcosa.” Alina abbassò lo sguardo, la voce che si incrinava mentre le parole uscivano. “Ma lei mi ha zittito subito. Ha detto che la foresta non è per noi, che non devo nemmeno pensarci. Però lo vedo nei suoi occhi, sai? C’è qualcosa che mi nasconde, qualcosa di grosso. E io… io sento che mi chiama, Giulia. Non so come spiegarlo, ma è come se una parte di me fosse già là fuori, tra quegli alberi.”
Un silenzio pesante calò tra loro. Giulia si mordicchiò il labbro, tamburellando le dita sul tavolo, come se cercasse le parole giuste. Poi, con un sorriso che sembrava forzato, si alzò e fece un gesto vago verso gli scaffali. “Sai, a volte i sogni sono solo sogni, Alina. Però… beh, qui al borgo girano un sacco di storie strane su Selvoscuro. Storie di donne che spariscono al chiaro di luna, di spiriti che sussurrano tra gli alberi. Tutte favole per spaventare i bambini, chiaro, ma… fanno venire i brividi, no?”
Alina alzò lo sguardo, i suoi occhi verdi che si accendevano di un misto di curiosità e inquietudine. “Che tipo di storie?” La sua voce era bassa, quasi un sussurro, come se temesse che parlare troppo forte potesse evocare qualcosa di oscuro.
Giulia scrollò le spalle, tornando al bancone per prendere un altro libro. “Oh, roba di vecchie comari. Dicono che alcune donne del borgo, secoli fa, fossero legate alla foresta in qualche modo. Che avessero un patto con… non so, spiriti o creature. Ma sono solo leggende, Alina. Nessuno ci crede davvero.” Rise, ma la risata suonò vuota, e i suoi occhi evitarono quelli dell’amica per un istante troppo lungo.
Alina non rispose subito. Sentiva un formicolio sulla pelle, come se quelle parole avessero toccato qualcosa di profondo, un’eco del sogno che le pulsava ancora nella mente. Strinse il ciondolo più forte, il metallo freddo che sembrava quasi rispondere al suo tocco. “E se non fossero solo storie? Se ci fosse qualcosa di vero?”
Giulia si fermò, un libro aperto tra le mani, e la guardò con un’espressione che oscillava tra scetticismo e preoccupazione. “Non dire sciocchezze, tesoro. La foresta è solo un posto pieno di alberi e fango, niente di più. Però…” Esitò, sfogliando le pagine con un po’ troppa forza, come se volesse nascondere qualcosa. “Se ti fa stare meglio, possiamo cercare qualche vecchio testo. Magari troviamo una di quelle storie, così ti levi il pensiero.”
Si misero a frugare tra gli scaffali, la polvere che si alzava in nuvole sottili sotto la luce tremolante. Alina passava le dita sui dorsi dei libri, il cuore che batteva più veloce a ogni titolo che accennava a leggende o misteri. Ma la sua mente non era solo lì, tra quelle pagine ingiallite. Era ancora a casa, a fissare il pavimento consumato della cucina, a chiedersi cosa nascondesse. Era nella foresta, a sentire il vento che sembrava chiamare il suo nome. Ogni tanto lanciava un’occhiata a Giulia, che sembrava stranamente tesa, come se stesse cercando qualcosa di specifico senza volerlo ammettere.
A un certo punto, Giulia lasciò cadere un piccolo fascicolo di carte, un disegno che scivolò fuori e atterrò sul pavimento. Alina non lo vide, intenta a leggere un passaggio su un libro di erbe locali, ma il cuore di Giulia sembrò fermarsi per un istante. Chinandosi a raccoglierlo, l’amica lo infilò rapidamente tra le pagine di un altro volume, il viso che si oscurava mentre mormorava: “Niente di interessante, solo scarabocchi.” La sua voce era troppo casuale, il sorriso troppo tirato, ma Alina, persa nei suoi pensieri, non ci fece caso.
“Giulia, tu sai da dove viene questo ciondolo?” chiese invece, sollevando il pendente che brillava debolmente sotto la luce della lampada. “Non ricordo molto, solo che ce l’ho da quando ero piccola. Dopo quella notte che… beh, che mi sono persa nei boschi. La mamma non ne parla mai, ma sento che c’è qualcosa dietro.”
Giulia si avvicinò, osservando il ciondolo con curiosità. “Sembra antico, sai? Magari è un cimelio di famiglia. Dovresti chiederlo a Elisa, no? Forse lei sa qualcosa.” Ma il tono della sua voce tradiva un’insicurezza, come se sapesse che quella conversazione non sarebbe mai stata facile.
Alina scosse la testa, un’ombra che le attraversava il viso. “Ci ho provato, ma è come parlare a un muro. Ogni volta che tiro fuori qualcosa che riguarda la foresta o il passato, si chiude. Mi guarda come se fossi una bambina che non capisce niente, ma io non sono più una bambina. Ho bisogno di sapere, Giulia. Ho bisogno di capire perché mi sento così… spezzata.”
Giulia le posò una mano sulla spalla, il gesto caldo e rassicurante. “Non sei spezzata, Alina. Sei solo confusa, e non c’è niente di male in questo. Ascolta, ti prometto che ti aiuterò. Se c’è qualcosa da trovare in questi vecchi libri, lo troveremo insieme. E se tua madre non parla, beh, troveremo un altro modo. Non sei sola, capito?”
Le parole dell’amica le scaldarono il cuore, anche se solo per un momento. Alina annuì, stringendo la mano di Giulia con un sorriso debole. “Grazie. Non so cosa farei senza di te.” Ma dentro di sé, sentiva che il conforto di quell’amicizia non poteva colmare il vuoto che cresceva ogni giorno. C’era qualcosa che la chiamava, qualcosa che non riusciva a ignorare, e non era tra quegli scaffali polverosi.
Quando finalmente lasciò la biblioteca, il cielo si era fatto più scuro, la nebbia che avvolgeva i vicoli di Pietraluna come un sudario. Ringraziò Giulia con un sorriso forzato, promettendo di tornare presto, ma mentre camminava verso casa, i suoi occhi si perderono all’orizzonte. La Foresta di Selvoscuro si stagliava lì, un’ombra viva e pulsante che sembrava guardarla a sua volta. Stringendo il ciondolo, sentì una vibrazione impercettibile sotto le dita, un’eco del sogno che non la lasciava andare. “Non posso più ignorarlo,” sussurrò a se stessa, la voce che si perdeva nel vento freddo. Ogni passo verso casa sembrava allontanarla dalla verità che desiderava, ma dentro di lei una nuova determinazione si stava facendo strada, pronta a portarla dove non era mai stata prima.