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Romanzi romantici in un solo posto

reader.chapterPassi nell’Oscurità


Alina

La notte mi avvolge come un mantello pesante, il silenzio della casa rotto solo dal battito furioso del mio cuore. Mi sveglio di soprassalto, il sudore che mi incolla i capelli alla nuca, le immagini di un sogno troppo vivido che mi perseguitano. Ero nella Foresta di Selvoscuro, i piedi nudi che affondavano nella terra umida, rami che mi graffiavano la pelle mentre correvo, inseguita da lupi con occhi di brace. Il ciondolo al mio collo brillava di una luce argentea, calda contro la mia pelle, mentre una voce antica sussurrava parole che non riesco a ricordare. Mi porto una mano al petto, dove il ciondolo riposa ora, e giuro di sentire un’eco di quel calore, un lieve pulsare sotto le dita. Non è solo un sogno. Lo so.

Fuori dalla finestra, la foresta si staglia come un’ombra viva, una macchia d’inchiostro nero contro il cielo trapunto di stelle. Il vento ulula, un richiamo che sembra pronunciare il mio nome, insinuandosi nelle crepe della vecchia casa di pietra. Mi avvolgo le braccia intorno al corpo, tremando, ma non è solo il freddo. È desiderio, è paura, è qualcosa che non so nominare. Non posso più ignorarlo. Non dopo i silenzi di mamma, non dopo le storie di Giulia, non dopo che ogni fibra di me sembra gridare verso quel luogo proibito. Devo sapere.

Con mani che tremano, afferro il vecchio scialle di lana dalla sedia, avvolgendomelo sulle spalle. Il pavimento scricchiola sotto i miei passi mentre sgattaiolo fuori dalla stanza, il respiro trattenuto per non svegliare Elisa. La sua porta è chiusa, un muro di segreti come sempre, ma stasera non lascerò che la sua paura mi trattenga. La porta d’ingresso si apre con un gemito basso, e l’aria gelida mi colpisce il viso come uno schiaffo. Mi guardo indietro un istante, il cuore che martella, ma la casa resta silenziosa. Un passo, poi un altro, e sono fuori, la notte che mi inghiotte.

Il Borgo di Pietraluna dorme sotto una coltre di nebbia, le case di pietra che sembrano osservare con finestre socchiuse, guardinghe. Mi muovo rapidamente lungo i vicoli, il suono dei miei passi attutito dalla terra battuta, fino a raggiungere il margine del villaggio. Lì, la Foresta di Selvoscuro si erge davanti a me, un muro di oscurità che sembra respirare. Il vento porta con sé l’odore di felci e terra bagnata, lo stesso odore dei miei sogni, e il ciondolo sembra vibrare contro la mia pelle. “Che vuoi da me?” sussurro, stringendolo tra le dita, ma l’unica risposta è il sibilo tra i rami. Deglutisco il nodo in gola, un misto di terrore e attrazione che mi spinge avanti, e varco il confine invisibile dove il borgo finisce e l’ignoto comincia.

Gli alberi mi accolgono chiudendosi alle mie spalle, i rami che si intrecciano come dita scheletriche. La luce della luna fatica a penetrare la chioma fitta, lasciando solo frammenti argentei a illuminare il sentiero, se così si può chiamare. Ogni passo è incerto, il terreno scivoloso sotto i miei piedi, mentre il freddo mi punge la pelle attraverso lo scialle. Un fruscio alla mia sinistra mi fa sobbalzare, il cuore che schizza in gola, ma è solo un gufo che spicca il volo, i suoi occhi dorati che mi fissano per un istante prima di sparire. Eppure, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione di essere osservata, di essere… attesa.

Cammino per quella che sembra un’eternità, il respiro che si condensa in nuvolette bianche, i pensieri un vortice di dubbi. “Sto facendo una sciocchezza,” mormoro tra me, la voce che trema. “Mamma aveva ragione, non dovrei essere qui.” Ma ogni volta che penso di tornare indietro, qualcosa mi trattiene, un richiamo profondo che mi tira come un filo invisibile. Il ciondolo pulsa, quasi bruciando contro il mio petto, e so che non posso fermarmi. Non ora.

Poi, come se la foresta stessa si aprisse per rivelarmi un segreto, inciampo in una radura. Il mio respiro si spezza. Al centro, una lastra di pietra domina lo spazio, un altare antico circondato da un cerchio perfetto di terra nuda. Gli alberi sembrano inchinarsi verso di esso, le loro ombre che danzano sotto la luce della luna, un bagliore argenteo che illumina rune sbiadite incise sulla superficie. L’aria è diversa qui, più fredda, più densa, con un odore di pietra antica e qualcosa di indefinibile, come un respiro dimenticato. Mi avvicino, i passi lenti, il cuore che batte così forte che temo possa spezzarsi. “È questo…” sussurro, riconoscendo l’altare dai miei sogni, il luogo verso cui correvo mentre i lupi mi inseguivano.

Le rune sembrano chiamarmi, e senza pensare allungo una mano, sfiorando la pietra gelida. Un bordo tagliente mi graffia il palmo, un taglio netto che brucia, e una goccia di sangue scivola lungo la superficie, assorbita quasi immediatamente. Un’ondata di energia mi travolge, come un’onda che mi trascina sotto, e cado in ginocchio, il fiato corto. La radura si oscura, poi esplode in visioni: lupi che mi circondano, i loro occhi di brace che brillano, una voce antica che rimbomba nella mia testa, profonda come la terra stessa. “Il patto è rinnovato,” dice, ogni parola un peso che mi schiaccia. Non capisco, ma qualcosa dentro di me risponde, un’eco che mi fa tremare. Mi stringo il petto, il ciondolo che arde ora, mentre la radura sembra pulsare intorno a me, viva.

Un ringhio basso mi strappa da quel torpore, gelandomi il sangue. Alzo lo sguardo, il cuore fermo, e un’ombra emerge dagli alberi. È un uomo, ma non lo è. Alto, muscoloso, con capelli neri spettinati che gli cadono sugli occhi, la sua presenza riempie la radura come una tempesta. I suoi occhi ambra brillano di furia, selvaggi, mentre mi fissa, il corpo teso come una corda sul punto di spezzarsi. Tatuaggi runici corrono lungo le sue braccia, visibili sotto la luce della luna, e i suoi abiti scuri sono strappati, come se vivesse tra i rovine di questo luogo. Mi sovrasta, un predatore che mi guarda come una preda.

“Chi sei?” ringhia, la voce profonda che sembra vibrare nell’aria. “E che ci fai in un luogo sacro? Hai idea di cosa hai fatto?”

Mi ritraggo, le mani che tremano mentre mi rialzo, il taglio sul palmo che brucia ancora. “Io… non lo so,” balbetto, la voce che mi tradisce. “Non volevo fare del male. Sono stata… attirata qui. Questo posto, io lo sogno da sempre.” Stringo il ciondolo, quasi per proteggermi, e i suoi occhi si posano su di esso, socchiudendosi. Si irrigidisce, un lampo di qualcosa—riconoscimento, forse—che gli attraversa il viso, ma non dice nulla al riguardo. Invece, fa un passo avanti, la sua vicinanza che mi soffoca, il calore del suo corpo che contrasta con il freddo della notte.

“Hai violato un equilibrio che non puoi capire,” dice, il tono minaccioso, quasi un ringhio. “La tua presenza qui è un pericolo. Per te. Per tutti.”

Lo fisso, il cuore che galoppa, ma c’è una scintilla di sfida in me che non riesco a spegnere. “Non sono venuta per creare problemi,” ribatto, la voce ancora debole ma più ferma. “Non so perché sono qui, ma questo…” indico il ciondolo, “sembra volerlo. Non posso ignorarlo.”

Per un istante, il silenzio ci avvolge, rotto solo dal vento che sibila tra gli alberi. I suoi occhi ambra mi scrutano, come se cercassero di leggermi l’anima, e c’è qualcosa in quello sguardo che mi fa rabbrividire, un misto di rabbia e qualcosa di più profondo, qualcosa che non so decifrare. Poi, con un movimento brusco, si volta a metà, i tatuaggi che sembrano danzare sulla sua pelle sotto la luce lunare.

“Seguimi,” ordina, il tono che non ammette repliche. “Non hai scelta.”

Esito, il terrore che mi stringe lo stomaco, ma so che non posso tornare indietro. Ogni scelta mi ha condotta qui, a questo momento, a quest’uomo che sembra fatto d’ombra e furia. Con un respiro tremante, mi preparo a scoprire cosa mi aspetta, mentre un ululato lontano echeggia nella foresta, un presagio che mi gela il sangue. Lo seguo, il ciondolo che pulsa al ritmo del mio cuore, sapendo che sto camminando verso un destino che non riesco ancora a comprendere.